lunedì 26 novembre 2012

Mi rileggo...

...e mi dico "ma non è possibile, ho lasciato troppi discorsi a metà!". Sia sul blog che librescamente parlando.  E' vero, l'incompiutezza è un po' un mio marchio, però voglio crederci, che si possa guarire, e oggi un paio di lacune bloggistiche mi ci metto e voglio colmarle. 
Iniziamo innanzitutto da lui:

Un cantico per Leibowitz
cui avevo già accennato. Fra i romanzi post-apocalittici del percorso a tema, mi ha colpita molto in positivo. Uno dei migliori, anche da rileggere. Si tratta, mi sembra di averlo già scritto, di tre racconti lunghi in sequenza temporale distanziati fra loro di diversi secoli. 
Nel primo il protagonista è un giovane novizio che, nel suo duro esilio di penitenza, preparatorio per diventare monaco, scopre -per caso?- l'entrata di uno di quei vecchi rifugi antiatomici, costruiti per proteggersi dal terribile Diluvio di Fiamma. Non sarà, forse, il rifugio dell'ingegner Leibowitz, beato in attesa di canonizzazione?
Il gran merito di Leibowitz, a cui l'ordine del monastero attorno il quale è incentrato il romanzo è devoto, è stato quello di difendere, a costo della sua stessa vita, il patrimonio culturale dell'umanità, nascondendo libri, accantonando scritti, sollevando con coraggio una strenua opposizione contro la barbarie della Grande Semplificazione. Un olocausto di sapere, con pire di libri e di coloro che si offrivano di salvarli, poiché ritenuti loro, il progresso e la conoscenza, i responsabili della catastrofe che per poco non annientò l'umanità.
Leibowitz fonda l'ordine Albertiniano di Ricercatori e Memorizzatori di Libri, che dunque per secoli, con dedizione e sacrificio, e pazienza certosina (è il caso di dirlo), ha copiato, miniato e rinnovato il sapere di un tempo, perdendo però di vista il suo significato, poiché nessuno è ormai in grado di decifrare formule, scritti, diagrammi. 
Durante i brevi romanzi l'umanità ripercorre strade familiari, dai secoli bui alla timida aurora di una nuova conoscenza tecnica, terminando in una società in cui uomini e mutanti convivono, e la scienza, rinata laica  ma grazie agli sforzi dei devoti Albertiniani, è ormai pienamente sbocciata, ridando i suoi frutti: elaboratori, energia elettrica, automobili e... guerra nucleare.
Un romanzo complesso, in cui temi sempre attuali si incontrano, tra cui l'annoso dialogo dal Galileo di Brecht che anni fa già accennavo ma che qui ancora si ripropone:

Non credo che la scienza possa proporsi altro scopo che quello di alleviare la fatica dell'esistenza umana. Se gli uomini di scienza non reagiscono all'intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà che fonte di nuovi triboli per l'uomo. E quando, coll'andar del tempo, avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro progresso non sarà che un progressivo allontanamento dall'umanità. 

Può la scienza porsi dei limiti morali? A mio avviso no, una scoperta scientifica è praticamente per definizione qualcosa di assolutamente neutro, il cui pratico utilizzo potrà apportare (il più delle volte) benefici che che uguaglino le potenziali applicazioni negative, poste entrambe sui piatti di una bilancia. Ma come evitare di trasformarsi nella progenie di gnomi inventivi? Come non asservirsi e non piegarsi all'intimidazione dei potenti egoisti?
Insomma, un libro che con la scusa dell'apocalisse nucleare ci parla di religione, filosofia, riflessione storica, specie nei dialoghi fra il Thon Taddeo, rappresentante di una rivendicazione della conoscenza laica, libera, condivisa, e l'Abate Dom Paulo, impossibile da riassumere in poche righe. Molto raffinato.
Da comprare in cartaceo e aggiungere ai Memorabilia!

Un commento meno raffinato richiederebbe che dicessi che è davvero un libro coi controcoglioni, al contrario di quei due che ho letto dopo e che ho già citato (dai, poverino, quello di Wyndam non era così brutto, solo... un po' grezzo, ecco), e Addio Babilonia, che all'inizio pensavo mi risollevasse la media di queste ultime letture tematiche, e invece ha ancora deluso le mie speranze. Il mio anobiiano commento è abbastanza esaustivo, ed essendo un libro che non merita più di tante righe, né di essere ricordato se non per il fatto che è abbastanza insulso (per non rileggerlo, insomma), non aggiungerò altro.

Si lascia leggere, se non altro perché mostra le strategie di sopravvivenza in una comunità in grado di arrangiarsi giorno per giorno e sopravvivere alla catastrofe che ha colpito il loro paese. Uno sguardo un po' più ottimista, insomma, non solo sul durante, ma anche sull'immediato dopobomba, che in altri libri di questo filone mi sembra di non aver trovato. I suoi personaggi, che, è vero, sono stati abbastanza fortunati a trovarsi a vivere in una zona quasi incontaminata, non si sono lasciati trascinare dalla barbarie di un mondo alla deriva, cercando di mantenere intatti i residui della loro "civiltà", della fiducia e dell'aiuto reciproci, dando valore alla cooperazione ed anzi aggrappandovisi come ancora di salvezza. Però diamine. Dai in mano un fucile a un ragazzino di 10 anni, intanto una ragazzina di 11 ti pesca persici grossi quanto un braccio e lasci che venga sculacciata, spedita in camera sua e fai in modo che non le venga più permesso di toccare la barca. Intanto il persico però te lo sbafi. Le uscite sessiste sono mica poche ("sei una buona proprietà", dice Randy alla futura moglie O.O era ironia da due soldi, voglio sperare)... Ma muori gonfio! I libri così mi hanno veramente scocciata, e non mi interessa che fossero scritti negli anni '50, che siano specchi della società e blablabla, se uno vuole fare il salto di qualità lo fa, a prescindere dalle idiozie che gli vengono propinate intorno. Come mi ha scocciato il patriottismo americano. E basta! Non saprei valutarlo, non è un libro brutto ma nemmeno bello (con una punta di malvagità oserei definirlo un po' insulso), boh. 
Voto finale: scrollata di spalle e faccia poco convinta. 

Di altre cose che ho lasciato sospese:
Cantico per Leibowitz a parte. Comincio dal principio, ovvero dai lontanissimi inizi del blog.

2009 A parte il libro di Emily the Strange, non ho letto più niente di quello che mi ero appuntata, eccezion fatta per Razza Padana che è stato abbastanza formativo. Medea, Cassandra, storia dell'arte giapponese... un par de palle, ecco.  Consideriamoli discorsi chiusi, o meglio, archiviati in maniera indeterminata. Vabbè, però stanno là, quando voglio me li prendo, giusto? Giusto. 

2010 Sulle cose religiose, sull'Islam e tutto il resto: seee, ce stavi a crede, vero? Niet. 
Ma su, ma che ci frega di una cosa, chiamasi religione, che è sempre solo servita a far ammazzare gente? 
Valore antropologico, sì è vero è interessante, a parte tutto, appunto perché è così legata coi sistemi di potere, però il discorso è troppo complicato e va preso proprio da dietro. I Sufi manco a parlarne...ma se già nel Cantico, nei pezzi più filosofici stringevo gli occhi, "aspetta, che stai a dì? Fammi rileggere" x4, x5 volte. Mi stai dicendo che, sul serio, hai pensato di leggerti un libro sui dotti mistici islamici? 
Ok, l'hai fatto, ok, ancora ti alletta l'idea, ma poi vediamo, ok? Poi non dire che non ti avevo avvertita. Timbro: archiviato indeterminato.
Intanto però in una bancarella (anni fa) ho comprato una monografia sugli Assassini che non è male e quella invece me la voglio leggere davvero. Prima o poi (timbro AI, ma un po' più determinato)
Sarebbe da scrivere un'apologia di Dawkins che qui non ho neppure nominato, ma ho conosciuto leggendo "L'illusione di Dio" e ha risvegliato il mio orgoglio ateo. Però se rileggo quel libro mi avveleno con la cretinaggine di certi suoi oppositori (creazionisti in special modo, e tutta quella gentaglia assimilabile a quei minchioni del Popolo della Vita qui in Italia, da far accapponare la pelle), ragion per cui non lo farò.
Incredibile, ho persino letto alcuni titoli che mi autoproponevo qui, questo non me lo aspettavo. I popoli Arabi non l'ho letto, Chomsky ci ho provato ma sono una sega e poi ho smesso, quello di Gallino sì, Deus Irae sì.
[Nota: per i libri di casa nel mio scaffale personale, il timbro AI va inteso in maniera un po' meno nebulosa di quelli che non sono a casa, nel senso che probabilmente nei prossimi 5 anni quei libri verranno letti, mentre quelli di biblioteca probabilmente *ehr* non verranno letti mai]
Postpunk delle biblioteca non riesco a leggerlo (vai a capire perché), in inglese nemmeno (il perché invece qui è piuttosto ovvio), Vonnegut sì, tutto il resto proprio no. *Timbro Archiviati Indeterminati*
Di questi non ne ho letto nemmeno uno (lol - *timbro AI*) a parte quelli di Steinbeck di cui il primo è gradevole come tutti i suoi che ho letto; il secondo, Uomini è Topi, è un CAPOLAVORO di incommensurabile lirismo. Ho visto gente su Anobii, persino con ottime librerie, affibbiargli una o due stelline... ma dico, ma ce l'avete un cuore, voi?!?!  Sciocchi insensibili!

Fumetti: mah, ho provato un sacco di porcate. Belli Kuragehime e Sei il mio cucciolo! (nonostante il titolo), a parer mio un po' somiglianti, se non nella trama, almeno in qualche modo nell'intreccio amoroso. C'è qualcosa che li accomuna, ecco. Ne parlerò a parte (oh no, sto lasciando cose in sospeso! Ancora! Non finirà mai). Facciamo che sui fumetti ci faccio un post a parte che sennò metto troppa carne al fuoco -maddai?- .

Pirati: si ricomincia nel 2013 con la sfida piratesca! Ahrr!

Omeopatia, cazzate scientifiche e debunking: lasciamo perdere, va. Ho letto un bel libro sul tema e merita una scheduccia a parte. Carne al fuoco.

2011 Le femmine: credo di non avere più nulla da dire, a parte la parentesi sugli anni 50.

La conclusione di tutto questo è che i libri fanno scorrere il tempo troppo in fretta.







domenica 18 novembre 2012

"Ci si batte, quindi una guerra deve esserci"



  "Foxe, con la e vedo, come quello del Libro dei Martiri," aggiunse.
  "Sissignore," disse Tristram.
  "Bene," disse il tenente colonnello Williams, "c'è questo problema dei limiti delle sue competenze in qualità di sergente istruttore."
  "Sissignore."
  "I suoi compiti mi sembra che siano abbastanza chiari. Stando a quanto riferisce il commissario Bartlett, lei li ha eseguiti in modo adeguato. Per esempio, lei ha svolto un buon lavoro nella classe degli analfabeti. Per di più ha insegnato matematica elementare, la stesura dei rapporti, l'uso del telefono, geografia militare e problemi correnti."
  "Sissignore."
  "E sono stati questi problemi correnti a causare il problema. Esatto, Willoughby?" Gettò un'occhiata al suo aiutante che, occupato a scaccolarsi, sospese lo scaccolamento e assentì premuroso. "Dunque, vediamo. Sembra che lei abbia fatto certe discussioni con gli uomini: roba del genere Chi È il Nemico? e Perché Combattiamo? Lei questo lo ammette, credo."
  "Certo, signore. Secondo me, gli uomini hanno perfettamente il diritto di discutere sul perché sono nell'esercito e che cosa..."
   "Un soldato," lo interruppe con tono stanco il tenente colonnello Williams, "non ha diritto ad avere delle opinioni. Giusto o sbagliato, così è stato deciso. Giusto, ritengo, visto che è stato deciso."
   "Ma, signore," riprese Tristram, "di certo dobbiamo sapere in che cosa siamo coinvolti. Ci è stato detto che è in corso una guerra. Alcuni tra gli uomini, signore, si rifiutano di crederlo. Sono propenso ad essere d'accordo con loro, signore."
   "Davvero?" disse freddamente il tenente colonnello Williams. "Bene, lasci che la illumini, Foxe. Ci si batte, quindi una guerra dev'esserci. Forse non è una guerra nel senso tradizionale, ma guerra e combattimenti dovrei ritenere che siano praticamente sinonimi, in senso organizzativo, in rapporto all'impiego di eserciti."
  "Ma, signore..."
  "Non ho finito, Foxe, le pare? Per quanto riguarda i due problemi del chi e del perché, questo non è affare che riguardi i soldati, e questo deve accettarlo senza discussioni. Il nemico è il nemico. Il nemico è il popolo contro cui combattiamo. Dobbiamo lasciare ai nostri governanti la decisione sulla scelta di questo popolo. Non è niente che riguardi lei o me o il soldato Tizio o il caporale Caio. È ben chiaro?"
  "Ma, signore..."
 "Perché combattiamo? Combattiamo perché siamo soldati. È piuttosto semplice, no? Per quale causa combattiamo? Semplice anche questo. Combattiamo per difendere il nostro paese, e, in senso più ampio, per proteggere l'intera Unione Anglofona. Da chi? Non ci riguarda. Dove? Dovunque ci mandino. Adesso, Foxe, confido che tutto ciò sia perfettamente chiaro."
  "Be', signore, quello che io..."
 "È molto sbagliato, da parte sua, Foxe, turbare gli uomini portandoli a pensare e a fare in modo che pongano delle domande". Esaminò il foglio che aveva davanti, mugolando. "È molto interessato, Foxe, ci scommetto, in ciò che riguarda il nemico, i combattimenti, e così via, vero?"
  "Be', signore, secondo me..."
 "Le daremo l'opportunità di un contatto più stretto. Buona idea, Willoughby? Lei approva, sergente maggiore? Caro Foxe, la dispenso dai suoi doveri di istruttore a partire da oggi, ore 12. Dalla compagnia del QG sarà trasferito a una compagnia di fucilieri. Mi sembra che sia la compagnia B, vero Willoughby?, ad aver bisogno di un sergente di plotone. Bene, Foxe. Penso che le farà un monte di bene, giovanotto."
  "Ma, signore..."
  "Saluto!"


Anthony Burgess, Il seme inquieto (The wanting seed , 1962) - traduzione di V. De Carlo

mercoledì 14 novembre 2012

Aggiornamenti


Il regno del sangue
La peste scarlatta
Tenebre
Un cantico per Leibowitz
I trasfigurati
Io sono leggenda
Il lungo silenzio
Cecità
Il seme inquieto
Morte dell'erba
Addio Babilonia  in lettura

La fortezza di Farnham n.p.
L'esercito delle 12 scimmie n.p.

Sicuri ne mancano quattro, considerando gli incerti sei. In un mese sei libri posso leggerli, anche se a dire il vero un po' mi sono stancata del filone (infatti intanto mi sono sparata un noir da paura che mi ha lasciata ancora in hangover). Certo Tenebre ha 600 pagine, ma anche se sforassimo nel 2013 chi se ne frega?

Sob cerchiamo di finire nel 2012 però, che poi è una profusione di sfide che non ce la farò mai...

mercoledì 31 ottobre 2012

La sfida continua, nonostante tutto

Il bilancio è, per adesso, di 10 libri letti più uno in lettura. I piani, come sempre, sono leggermente cambiati rispetto alla lista stilata diversi giorni fa, ma sono i libri che mi chiedono di sceglierli e di leggerli quando loro lo desiderano, ed io li lascio fare.
Il percorso non è dei più semplici, se non altro perché sto incassando numerose delusioni, soprattutto -a sorpresa- proprio dal "reparto fantascienza" della lista. 
Ma andiamo con ordine. Dopo la terribile esperienza del libro precedente, ho cercato ventate di freschezza con Un cantico per Leibowitz, che rimando a più tardi. Successivamente sono passata a:

I Trasfigurati - John Wyndham (N.B. spoiler)

Non malissimo, ma, tirando le somme, lo considero una delusione. Non so se il fatto che l'abbia trovato molto stringato sia da imputare alle pessime scelte editoriali Urania di sforbiciare qua e là nei romanzi, con scarso rispetto per i lettori, per l'autore e  per l'opera, oppure al libro stesso. 
L'incipit lasciava ben sperare. Siamo a diversi secoli di distanza da una catastrofe nucleare che distrusse un'epoca intera, i cui unici relitti sono i precetti della Bibbia, quelli di secondo testo sacro e, infine, le mutazioni che continuano a colpire uomini, piante ed animali. Non che queste ultime siano ben accette: i precetti affermano, infatti, che la Norma debba essere preservata ad ogni costo, sia pure quello di distruggere raccolti, uccidere le bestie e privare di ogni tipo di futuro i mutanti umani. 
Ogni deviazione dalla Norma sgomenta e inorridisce i tranquilli cittadini di [inserire città americana che non ricordo] . Ma cosa succederebbe se le mutazioni non fossero più fisiche, ma mentali, e dunque invisibili? Se i mutanti si nascondessero dietro ogni persona comune, celandosi dietro l'apparenza di una Norma? Il protagonista è costretto a non rivelare il suo segreto, combattendo ogni giorno contro il bigottismo estremo della sua società e della sua famiglia in primis ("GUARDATI DAL MUTANTE!" gli ricorda ogni giorno il quadro appeso nella grande cucina della sua abitazione), nonostante la sua abilità, e quella dei suoi simili, rappresenti uno straordinario passo avanti nella comunicazione degli esseri umani. Il loro contatto avviene mediante una sorta di telepatia, quelle che l'autore definisce "forme pensate", scambiate anche a distanza, senza necessità di alcun contatto visivo o sonoro, abilità che accresce l'empatia e la sensibilità dei suoi fortunati possessori. 
Ben presto, però, i nostri vengono scoperti, cacciati, perseguitati. Sono costretti a rifugiarsi nelle frontiere, ove, esuli, vivono i mutanti reietti cacciati dal territorio dei Normali. Tutto sembra andare per il peggio, quando dei provvidenziali stranieri provenienti dalla Zelanda riescono a contattare telepaticamente i protagonisti e a trarli in salvo, liberandoli dalla condizione di emarginati e "diversi" e portandoli con loro in una società progredita in cui l'uomo, un nuovo tipo di uomo, ha ormai preso pieno possesso della sua nuova grandiosa facoltà.
Detta così la trama è molto intrigante. I personaggi si muovono bene nelle situazioni, sono abbastanza vivi e sono verosimili dialoghi e rapporti. L'idea di un contatto estremamente intimo tra le menti, impensabile per chi non possegga il dono della telepatia, è molto affascinante. Forse però non sono d'accordo con lo sviluppo del finale. 
Innanzitutto mi sarei aspettata un avanzamento della trama in una situazione alla "Io sono leggenda", o, perlomeno, è quello che mi sarebbe piaciuto. In una società così chiusa come quella del territorio di [paese che non ricordo], che pone se stessa al centro del proprio mondo, un contatto con una civiltà di mutanti che contasse almeno il quadruplo della loro popolazione in un territorio molto più grande dell'estensione di [paese che non ricordo] sarebbe stato l'ideale per osservare la reazione dei Normali. Dei moti? Delle rivolte? Rassegnazione, disperazione? Guerre? Coesistenza pacifica? Traditori? Quella dei Normali è una società che può sperare di risollevarsi in un nuovo splendore di tolleranza? O ci sarà bisogno di un ritorno agli spargimenti di sangue? E i reietti del confine, come avrebbero preso parte a tutto ciò? E cosa avrebbero fatto i telepatici? 
Materiale ce ne sarebbe stato tantissimo, anzi, c'è da segnarselo magari per degli spunti futuri, mi venisse mai  la voglia di scrivere una cagata post-apocalittica di mia mano. 
Invece il finale è liquidato in maniera fin troppo sbrigativa. La Zelandese salvatrice spara a tutti una sostanza vischiosa che intrappola e uccide i reietti del confine e i Normali, tutti riuniti in uno scontro imminente, risparmiando i protagonisti. 
Ma erano davvero tanto stupidi, i vecchi uomini, da non aver meritato nemmeno un tentativo di avvicinamento da parte della "nuova specie" telepatica? Seppure sia questo che voglia farci credere, sembra non ne sia convinto nemmeno l'autore, altrimenti non avrebbe inserito alcuni personaggi (Zia Harriet, Zio Axel, la famiglia di Sophie), che, pur essendo dei Normali, risultano essere abbastanza intelligenti da non essere affatto convinti dei precetti bigotti inculcati a forza nelle loro menti, e da non accettarli, talvolta con tragici risvolti (vedi il suicidio della Zia, disperata per aver concepito per la terza volta una bambina mutante, e che per la terza volta le verrà strappata dalle braccia).
I Nuovi Uomini Superiori, un po' troppo convinti di essere tali, e a mio parere (ma anche, a quanto pare, secondo quello del protagonista) un tantino gradassi, si rivela un po' troppo precipitosa nell'usare la violenza per essere una civiltà avanzata che non voglia incappare negli errori dei suoi predecessori. Certamente l'autore non esclude in maniera totale un futuro contatto degli Evoluti con i Normali, ma nemmeno fornisce troppe speranze. E dunque anche su questo tema gli sviluppi sarebbero potuti essere interessanti. L'ego dei Normali si sarebbe ridimensionato, e quello degli Evoluti, invece? Avrebbero sottomesso infine i Normali? Si sarebbero sentiti tanto superiori da cercare di soverchiarli e sfruttarli? E i Normali, nel tempo, come avrebbero reagito? Qui c'è materiale per costruirci un'intera saga...
In sostanza si tratta di un romanzo con spunti eccellenti, sensazionali, ma andati sprecati, specialmente nel finale. Sarebbe stato un terreno ottimo e fertile su cui gettare i semi di un romanzo forse straordinario.
Un gran peccato!


Morte dell'erba - John Christopher (alias Samuel Youd) (N.B. spoiler)

Se con i Trasfigurati ho potuto parlare di delusione, con Morte dell'erba posso parlare di un vero e proprio tradimento...
Data l'originale premessa di una calamità che ci colpisce in maniera un po' più indiretta, mi aspettavo scintille. In realtà è un romanzo perdibilissimo, che quasi nulla ha di fantascientifico se non lo spunto apocalittico (e allora anche La Strada dovrebbe essere fantascienza... ma non lo è). 
Classe 1956, non aggiunge nulla al panorama della letteratura apocalittica, non coinvolge stilisticamente né emotivamente; lo sviluppo è estremamente frettoloso, gli intenti palesemente didascalici. Tutto il libro è una parabola su ciò che l'autore si aspetterebbe dall'uomo durante una calamità: una veloce trasformazione della società, un rapido cambiamento dell'atteggiamento umano verso i suoi simili a causa della cattiveria della realtà, un annullamento totale del sentimento di pietà, considerato un mero fronzolo, relitto di un'epoca di benessere, un lusso da dimenticare. Questo "insegnamento" che traspare in modo fin troppo pacifico rende la narrazione pesante e fastidiosa, e rozzi gli eventi descritti. Tutti gli aspetti sociali sono trattati in maniera assai semplicistica, i cambiamenti sono inverosimilmente rapidi, i ragionamenti dei personaggi troppo lineari.
Manca totalmente l'approfondimento del panorama ecologico dopo il virus, in cui speravo.
Le vicende sono più o meno le seguenti: dopo un incipit bucolico in una valle che vive di agricoltura, ereditata dal fratello del protagonista, vediamo la disgrazia del virus profilarsi all'orizzonte. Dapprima colpisce la Cina e l'Oriente, poi l'Europa. In Inghilterra il Presidente sembra, in gran segreto, voler porre fine alle sofferenze della popolazione, non ancora nemmeno iniziate, sganciando bombe H e bombe atomiche sull'intera nazione (che assurdità! Un altro punto debole del libro), così, tanto per aggiungere un po' di radiazioni alla situazione ed allungare la lista degli alimenti immangiabili. La selezione naturale, e un po' di fattore C, avrebbe fatto il resto, dimezzando le bocche da sfamare e facendo quindi rimanere abbastanza cibo per tutti. Certo, certo.
Il protagonista ha una soffiata e decide di fuggire con la sua famiglia e quella di un amico verso la valle del fratello, che, furbacchione, aveva previsto la catastrofe e convertito le sue coltivazioni a patate. 
Nella sua marcia si accolla un po' di gente, per debolezza o per utilitarismo. Sorvolo sulle scene sessiste che si incontrano spesso nello sviluppo del romanzo... colei che istiga alla pietà è sempre la moglie; il marito guida stanco morto ma sembra che, nonostante una delle donne abbia la patente, il suo unico compito possa essere quello di chiacchierare tenendolo sveglio, peraltro con scarsi risultati... prendere il volante e dare il cambio no, eh? Occupata per una sera una casa, i baldi uomini in automatico si dirigono in perlustrazione, mentre altrettanto automatico è l'autoesilio delle donne in cucina a preparare la colazione, persino con il riflesso automatico di pulire i piatti sebbene non ce ne sia il minimo bisogno... Da far cadere le braccia. Sarà pure figlio del suo tempo, ma il romanzo di Wyndham, praticamente coetaneo (1955) conta una partecipazione delle donne molto più attiva e piacevole. 
Pian piano il protagonista diventa sempre più duro, attorno a lui in tempi infinitesimi (tre giorni?) si costituisce una società feudale, nessuno vomita alla vista di persone uccise dai loro stessi grilletti, anche se fino a l'altroieri gli omicidi erano dei tranquilli ingegneri abituati a scorazzare in automobile da un capo della città all'altra, e nulla di più. Nessuno attenta all'autorità del capo, il quale non esita a tradire ed uccidere il suo stesso fratello quando questo è costretto (poiché non è l'unico ad essere barricato nella valle) a lasciare fuori il gruppo del protagonista, pur offrendo ospitalità esclusiva alla sua famiglia. Questo è il finale del cavolo che ci ha preparato Youd, dieci caccolose righe in cui il novello Caino ha conquistato la terra di Abele facendo terra bruciata per la sua sopravvivenza e quella del gruppo di cui si sente responsabile (ma perché?! Erano insieme da soli due giorni!), impegnandosi a far fruttare ancora le terre della valle conquistata con il sangue. Inverosimilmente la moglie, paladina della pietà, gli dice "vabbè, scialla, hai ammazzato tuo fratello, adesso vediamo di andare avanti, la vita continua". 
Eh?
Oltre ad essere in disaccordo quasi totale con la visione di Youd, il libro non dice proprio nulla. Il tormento di una persona, la disperazione, lo sgomento... sono al di fuori della concezione dei personaggi di questo libro insulso. 
D'obbligo il paragone con La Strada, che forse nemmeno sussisterebbe, ma, se non altro, Morte dell'erba ha avuto il pregio di farmi apprezzare molto di più il libro di McCarthy, molto più efficace nel raccontare l'individualismo spietato e disperato necessario per la sopravvivenza in tali condizioni catastrofiche, in cui coesistono apparizioni di personaggi rassegnati, o animaleschi, o ancora terrorizzati, in cui l'uomo ha perso ogni certezza, è disposto a perdere ogni briciola di pietà ma, per contro, in cui ancora, assurdamente, la debole fiammella della speranza ha un alito di ossigeno per brillare... insomma c'è tutta la natura umana nel libro di McCarthy, che non mi aveva troppo colpita ma che ora ho invece rivalutato.
Bè, almeno a qualcosa il romanzo di Youd è stato utile.


mercoledì 17 ottobre 2012

Non aprite questo libro!

Come si desumeva da uno degli ultimi post a tema sfida post-apocalittica, abbandonare l'universo de L'Ombra dello Scorpione non è stata impresa facile. Mi sono concessa l'intermezzo del "racconto lungo" di Jack London per poi passare ad altre 567 pagine di romanzo contemporaneo, che non mi aspettavo di certo eccelso, ma nemmeno così deplorevole.




Errore.
Che libro brutto... ma così brutto! Se non altro sono felice di essermelo tolto dai piedi per proseguire con letture che, a naso, sembrino degne di questo nome. Spero di non incappare mai più in un'opera simile.
Innanzitutto le prime 200-300 pagine. Il protagonista è un idiota patentato di nome Rick Kennedy, diciannove anni, come non si stanca mai di rimarcare nella narrazione in prima persona, stile diario. Sei giovane, sei moderno, ma ciò non ti autorizza a rendere ogni maledetta pagina una sterile sequela di:
Cristo
Gesù Cristo
Cielo
Santo cielo
Dio onnipotente
Dio
sempre in quegli incisi fastidiosissimi che sollevano un'indicibile voglia di imprecare molto più pesantemente di lui. Dopo le 300 pagine queste interiezioni tendono a scemare, ma ti accompagnano comunque fedelmente fino alla fine del libro. 
I dialoghi, complici questi benedetti incisi - ma non solo- sono a tratti imbarazzanti. Non saprei descriverlo se non con un paragone cinematografico: si ha presente ciò che si intende con povera sceneggiatura? Qualcosa di simile: di una banalità inaudita, con protagonisti che sembrano figurine panini, oltretutto tagliate male, personaggi macchiettistici con ruoli definiti dal primo rigo di descrizione. Già alla loro presentazione carpisci il loro destino, sai esattamente cosa faranno, come finiranno, che diranno. Soprattutto se hanno più di 20 anni di età, allora il loro destino è segnato: crepano, e crepano male, a quanto pare nel mondo nuovo di Clark non c'è spazio per un'età che non sia gioventù... Ai ragazzi, anzi, in particolare ALLE ragazze, sarà però risparmiato (per lo più) il fato crudele che l'autore riserva a chi supera la quarantina. Anche molte situazioni sono di una banalità disarmante, e si capisce lontano un miglio dove vogliano andare a parare.
In breve, questo baldo e vigoroso giovane che è protagonista, ad una festa in cui reincontra, dopo un certo tempo, l'altro baldo giovane che è il fratello Stephen, sparisce con una momentanea amnesia dopo aver soccorso un poveraccio amico loro, ferito e farneticante. Dopo un po' si sveglia che tutta Leeds si è accampata in tutto il suo giardino per via di un gas velenoso che ha invaso la città. Dopo un altro po' capisce che il mondo è allo sbando perché, almeno in quella zona, il pianeta si è surriscaldato, la crosta terrestre si è assottigliata e l'attività vulcanica, in tutte le sue manifestazioni, ha cominciato a minacciare i dintorni della sua città. Londra intanto è stata investita da uno tsunami di proporzioni gigantesche e ne è rimasta quasi totalmente sommersa.
Molti crepano, passa il tempo, qualche mese, e si costituisce una piccola comunità. Il nostro protagonista si fa una nuova amichetta, nel senso latino del termine: il milfone della situazione, che nemmeno ricordo come si chiama. Poi questa crepa, e se ne crea un'altra, Kate, che aveva puntato già ai tempi della festa. Intanto sentenzia a proposito di fantomatici uomini grigi malvagi e con gli occhi rossi, a cui potrebbe essere ricondotta l'origine di tutto il macello. All'inizio nessuno gli crede ma poi iniziano a vederli tutti, che ammazzano gente, torturano persone, e altre amenità.
Dopo 300 pagine di agonia, i nostri stanno per essere uccisi da una tribù, ma vengono risparmiati grazie all'intervento di un personaggio di nome Jesus, l'unico a riuscire a destare un vago interesse nel lettore in un primo tempo, il quale si dissipa totalmente e senza speranza negli eventi successivi e soprattutto del finale, dove diventa una maschera, una caricatura, il cattivone che inverosimilmente non schiatta mai e deve tormentare fino all'ultimo gli altri personaggi, e il lettore, aggiungerei, in situazioni trite e ritrite e patetiche: viene bruciato vivo e non muore, anzi raggiunge i suoi rivali; i rivali lo fanno fesso e casca da una balaustra, ma si rialza in piedi e, prima di morire gonfio, dà prova di quanto il suo ego cattivone fosse spropositato con la classica risata da schizzato; poi finalmente se ne va fra i più accompagnato dal sospirone di sollievo dei protagonisti buoni. Terrificante...
La spiegazione data alla presenza degli uomini grigi è che il movimento della crosta terrestre genera campi elettrici, i quali interferiscono con i segnali neuronali nel cervello, dando una sorta di attacchi di epilessia accompagnati da allucinazioni. Sì, allucinazioni identiche in ogni cavolo di essere umano, anche in quelli mai venuti in contatto con la comunità dei protagonisti? Identiche in tutti i minimi dettagli! Persino nei murales si possono riconoscere esattamente tutti gli stessi minuziosi particolari. La spiegazione? Eh, la memoria collettiva. Il mito, l'archetipo, tutto condiviso. Eddai! Ma cosa? Ma nemmeno una differenza, che so, nel colore dei capelli? Che boiata immonda!
Spesso si incontrano situazioni molto ripetitive, ma...aaah. La situazione ripetitiva per eccellenza qui sono gli incontri sessuali di quel barzottone del nostro maschio protagonista. Descritte sin nei minimi dettagli, dalle scopate con il milfone a quelle con l'altra tipa, tutte hanno lo stesso modo di fare sesso, almeno tre pagine di descrizione dei dettagli di come queste gli succhiano l'uccello e dei loro Aaahhh uuuhhh siiiii quando vengono. Sì, lui le fa sempre venire. E loro sono sempre disponibili a dargliela, in qualsiasi momento, persino quando Kate era stata appena pistata di botte da lui che, nel delirio, l'aveva scambiata per un uomo grigio. La povera ragazza, tutta tumefatta con ettolitri di sangue addosso, che fa? Scopiamo, Rick! Ma che cazz..?!? Ma cosa?! Ma chi lo farebbe mai, ma come minimo ti metto una camicia di forza e non la vedi per una settimana, deficiente! No, lei è lì, pronta, subito a ficcarsi in bocca il pisello del tipo. Anche il milfone, da poco violentata da un branco di screanzati, appena vede il nostro ragazzone magicamente subisce un attacco improvviso di  pruriti di fresca, non importa che non riesca fisicamente ad impegnarsi in un atto sessuale: ti hanno violentata e dopo una settimana libera e felice come una farfalla scopi come un animale, la tua mente proprio non pensava ad altro. 
Ho già accennato a quanto siano deprimenti le descrizioni dei rapporti sessuali. A parte le minuzie inutili ed inopportune, vi troviamo metafore raffinate quali "i nostri corpi erano scivolosi come sperma", ed espressioni originali come "Cristo, era bellissimo"; "Cielo, se era bello"; "Era bellissimo", a profusione, con continui indugi sui capezzoli induriti, come se le partner sessuali del nostro Rick non abbiano altro che due paia di enormi, turgidi, eretti capezzoli, e qualche dettaglio qua e là; ma sono i capezzoli quelli che contano, baby.
La modalità narrativa, nemmeno quella regge. I capitoli sono presentati come estratti di diario, in cui per lo più l'io narrante è Rick, ma in alcuni episodi si tratta di Kate. Non c'era bisogno di dare una spiegazione a questa cornice, ma, non pago delle situazioni da facepalm da lui create, l'autore ne dà una: nello scrivere, l'io narrante sta compilando un resoconto in prima persona dei fatti avvenuti in quei giorni per preservarne la memoria e consegnare tutto alle generazioni future. A dire il vero è Kate a scrivere il diario, mentre Rick dovrebbe narrare le cose senza un preciso motivo. Bè, ad ogni cambio di prospettiva, il narratore deve tassativamente iniziare con "Mi chiamo Kate Robinson / Rick Kennedy". Che bisogno c'è?! Soprattutto nel caso di Rick! E soprattutto nel caso in cui si capisce che Kate stia scrivendo praticamente senza soluzione di continuità con la situazione che lei stava descrivendo appena prima dell'intermezzo di Rick, presentando aggiornamenti agli eventi avvenuti pochi minuti prima. 
I trucchetti per creare suspense sono banalissimi, lascia le cose in sospeso dando anticipazioni sul fatto che le cose non sarebbero andate bene come i personaggi avevano appena pensato, e cose simili...
Il cannibalismo così violento che si manifesta solo dopo pochi mesi dall'insorgere della catastrofe in alcuni gruppi umani è poco verosimile, sociologicamente senza basi. Più interessante è la spiegazione data alle torture inflitte agli sconosciuti dalla gente del gruppo di Jesus, una sorta di abominevole rituale basato sul sangue, in grado di mantenere coesa e rilassata l'intera tribù, placando l'animo dei suoi uomini. Ma tanto Clark butta al secchio Jesus nel peggiore dei modi.
Piatto, desolatamente piatto, la sensazione che rimane è quella di aver visto un blockbuster americano che puzza di cagata lontano un chilometro, costruito proprio in quel classico modo in cui lo sono quelle americanate che, solo per sbaglio, può capitarti di vedere al cinema di mercoledì pomeriggio, quando il prezzo del biglietto è dimezzato, e uscendo hai la sensazione che comunque quei tre euro e cinquanta avresti potuto spenderli in mille maniere migliori, tutte tranne quella... il modo peggiore di poter investire tempo e denaro, per di più finanziando il più becero dei filoni di produzione cinematografica.
Meno male che io, almeno, non l'ho mai pagato.
Mai più!






sabato 13 ottobre 2012

Nota flash

Forse trovo Addio Babilonia su un sito di compravendita libri. Hanno anche La fortezza di Farnham e L'esercito delle 12 scimmie ma aspetterei. Il primo costa 2 o 3 euro, fattibile.
Il seme inquieto l'ho trovato in biblioteca Marconi Via Cardano 135. 
Morte dell'erba (ecco il titolo corretto) l'ho trovato in ebook. 
Nessuna tregua con i re non si trova, ma quello che ho letto di Poul Anderson non mi è piaciuto tanto da voler cercare questo libro in maniera così disperata. 
Metro non m'aregge. Non ora. il secondo ce l'ho in ebook, comunque. Il primo magari l'anno prossimo me lo cercherò in qualche biblioteca. 
Picnic sul ciglio della strada n.p. , si vedrà. 

Nuove sfide per il 2013: pirati, evviva! Sono riuscita a farmela approvare.
Sfida libri sul cibo
Sfida ebook (in background)
forse una sfida bibliografica, autore da decidere
Sfida space opera uomo vs alieni (circa 5 libri per iniziare, poi si vedrà)

Forse un'ultima da definire.

venerdì 5 ottobre 2012

Stuck in a book più due parole sul supporto digitale

L'Ombra dello Scorpione è finito. E' stato terminato stanotte, fra il 3 e il 4 di ottobre, con una tazza di latte, cacao e biscotti mangiati compulsivamente per l'ansia di vedere come andasse a finire. 
E, diamine, nonostante i periodi di stagnazione in cui il libro sembrava non finire più -quanto odiavo, ad esempio, i pezzi in cui si parlava di Pattumiera!- , nonostante le critiche che gli ho mosso, bè... ci sono stata dentro un casino. Ho una sbronza libresca da fare paura. Come ne esco?! Ho i personaggi che mi ronzano ancora in testa vivissimi, a prescindere da ciò che succeda loro nelle vicende del libro: ho ancora Stu Redman che zoppica verso Boulder, Kojac che annusa nella neve, Tom Cullen che, cavoli, sì! Larry Underwood che guarda l'orizzonte oppresso dai rimorsi di coscienza, Nick Andros (mi è piaciuto molto) che comunica attraverso il suo blocco note, Randall Flagg ghignante dietro lo sguardo fisso di un corvo, Pattume, tremenda e imprevedibile forza del caos, che barcolla ustionato dalla sua follia piromane. 
Ho idea che il libro sia stato creato a regola d'arte per creare quest'effetto, l'affezione ai personaggi, magari usando dei cliché, scene pre-finale piuttosto cinematografiche, però è pur vero che bisogna esserne capaci. 
Alcune scene sono di tensione pura, e dopo questo assaggio ammetto che avrei paura a prendere in mano un libro di King veramente horror.
Plauso al finale semplice ma perfetto per merito dell'epilogo ne "Il circolo si chiude". 
Che dire? Bravo King. Alla fine mi sei piaciuto e il romanzo si merita le cinque stelline. 

Come farò a superare questa sbornia?!? Tiratemi fuori di qui! O forse no? Ma dovrò pur uscirne in qualche modo.

Ho comprato La Peste Scarlatta, il primo ebook acquistato da Amazon, e ho già cambiato le carte in tavola, sarà la mia prossima lettura. Ammesso che riesca a traslocare dal precedente libro. Prima o poi.

Visto che siamo entrati nel discorso ebook, ultimamente mi è capitato che la varie persone mi chiedessero, in maniera diretta per strada, indiretta tramite forum et similia, informazioni sugli e-reader: se sono maneggevoli, se si risparmia, se ne valga la pena e la spesa dell'acquisto.
La risposta? Sì, sì e sì.
L'opposizione degli amanti del cartaceo è strenua e dura a morire, ed anche abbastanza seccante, poiché l'errore in cui si incappa spesso è quello di definirsi amanti dei libri mediante l'attaccamento all'oggetto libro. Il feticista  dei libri non è necessariamente un grande e accanito lettore, e spesso è un lettore che se la tira, che mette il possesso del libro fisico innanzi tutto dimenticando (o ignorando) che uno degli aspetti più affascinanti del mondo di carta è la sua potenzialità di condivisione. E la condivisione digitale è più labile, vero, ma più capillare. Il feticista del libro si concentra sulla sua fisicità in questo mondo, in quello della realtà che lo circonda, in tutto ciò che è esteriore al libro, insomma, al volume, alla sua tridimensionalità, all'odore che emana: tutti aspetti che, una volta iniziata la lettura, si perdono, si dimenticano, sono assolutamente contingenti. Un libro è la proiezione di se stessi al suo interno, leggere un libro è entrare in un mondo, ed un volume è solo un portale, una soglia, poco importa che questo ingresso sia un po' sbiadito, puzzolente di muffa, odoroso di fresca stampa, dall'aspetto nostalgico oppure futuristico: dal momento in cui inizierà la mia lettura, la soglia verrà varcata e sarà lasciata alle mie spalle, e se un libro vale la pena di essere letto nemmeno mi sfiorerà l'idea di voltarmi per dare una nuova occhiata a quella soglia.
Sia chiaro che la mia non è una crociata contro il libro cartaceo, anzi. Trovo che un lettore serio riesca a usare con sincretismo tutti i supporti per poter leggere in maniera agevole in ogni occasione. Uno dei più grandi vantaggi del lettore e-book si può apprezzare in viaggio, quando in pochi grammi e centimetri è possibile avere l'imbarazzo della scelta di ogni tipo di lettura. Senza finire in viaggio dall'altra parte del mondo, il quotidiano spostamento del pendolare trae non poco giovamento dalla maneggevolezza di un e-reader, specie quando si tratta di letture di una certa mole. 
Ogni strumento può fornire un elemento in più, e non è vero che una biblioteca sopperisce al problema del risparmio di spazio casalingo dedicato ai libri e di denaro speso quanto può farlo un e-reader. Né tantomeno lo fanno i libri usati. Rovistare fra le bancarelle e gli scaffali polverosi di una libreria di usato (ma dove sono ormai?) è sempre un'esperienza molto piacevole, ed è possibile scovare, in quelle occasioni, delle vere perle rare a prezzi irrisori. Ma, oltre al fatto che la questione portabilità rimane aperta, non tutto ciò che si trova in cartaceo è presente in digitale, come non tutto che si trova in digitale può essere reperito cartaceo. 
E poi, diciamo la verità: non tutti i libri meritano di essere comprati. Non tutti sono degni di affollare una libreria personale, anzi i più meritano di essere scartati, se non altro perché una collezione è diversa da un mucchio di roba accatastata, e la selezione è un momento importante per costruire il proprio scaffale e poi compiacersene. Tuttora mi pento di aver acquistato alcuni libri che stanno lì, occupano spazio, frutto di scelte non oculate, quando al loro posto potrebbero essercene altri molto più interessanti. La lettura in e-book, poi, al pari di quella in biblioteca, non esclude l'acquisto, ma lo rende migliore, più selettivo, ancora più personale, ogni libro diventa circondato da un'aura quasi di sacralità. È lì che l'oggetto-libro diventa speciale, perché è legato a me, che l'ho scelto con cura, da un filo invisibile, è lì non solo perché è scoccata una scintilla irrazionale, ma perché deve meritarselo, perché quasi sicuramente sarà degno di una rilettura, di una consultazione, di una citazione, di una sottolineatura (sacrilegio! Dissero i feticisti del libro, eppure non ne dovrebbero apprezzare la fisicità? O è solo una scusa per nascondere una mania?)  
E il lettore e-book aiuta a rendere così speciale il rapporto fra il lettore e l'oggetto di carta. 
Di conseguenza, sono convinta che i timori degli accaniti bibliofili di una rivoluzione digitale in cui mucchi di pixel andranno a soppiantare definitivamente le versioni cartacee siano infondati. Magari i libri stampati diminuiranno, magari ci saranno molti più scrittori ed aspiranti in grado di bypassare le grandi case editrici e vendere come freelance i loro lavori, ed io lettrice sarò ben felice di finanziarli in maniera più diretta. Magari aumenterà ancora di più il divario fra le classifiche dei libri più venduti in libreria -il classico caso editoriale- e quelli più letti e apprezzati, nonché quelli dal maggior valore letterario, ma ormai è così da anni.
Fondamentalisti della carta, tutte scuse per mascherare la venalità!

giovedì 4 ottobre 2012

Avanti il prossimo!


Quasi finito l'Ombra dello Scorpione. Mancano 150 pagine. Mi dispiacerà lasciarlo andare, dura talmente tanto che rimarrò affezionata ai protagonisti e mi lascerà un hangover abbastanza pesante (Nick! Nick, perché?!?). D'altronde dopo mille e rotte pagine ti affezioni.
Il dubbio principale è però cosa fare dopo. La scelta migliore è quella di ricominciare un libro a ruota, in modo da non lasciar tempo all'astinenza di farsi sentire. 
Contando King siamo a sette libri su dodici; fra i rimanenti cinque (solo cinque?! Ci avevo preso gusto!) ho scelto, principalmente per la loro reperibilità:

Tenebre di Robert McCammon - paragonato all'Ombra dello Scorpione, probabilmente ispiratogli, i più affermano che non abbia la stessa verve. Altri sono entusiasti. La reperibilità cartacea di questo libro è scarsissima, credo non lo stampino più da anni. Non riesco neanche a trovare una trama, a meno di non cercarla con il titolo originale (Swan Song) forse perché non ho troppa voglia di cercarla, d'altronde meglio tenersi un po' di sorpresa in serbo per la lettura. 
Sono ben 600 pagine e non so se ho voglia di leggerle subito dopo King, preferirei staccare con qualcosa di più corto. Ovviamente l'ho trovato in ebook.




Il regno del sangue di Simon Clark - sembra abbastanza mediocre, ma potrebbe essere un buon intermezzo fra King e McCammon. C'è di mezzo roba di demoni, queste cose qua, un sacco di sangue, un sacco di sesso e una lettura veloce. Non è proprio quello che cerco in un libro, ma talvolta un volume di relax ci può stare. Senza pagarlo, è chiaro.






La peste scarlatta di Jack London - romanzo breve di non più di 100 pagine, non lo trovo in condivisione, ma vorrei comprarlo, sono curiosa di leggere un altro racconto apocalittico d'età un po' avanzata. Costa quattro euro, si può fare. Poi di London ho un buon ricordo, mischiato con la nostalgia di aver perso Zanna Bianca in giro perché lo portavo sempre con me (nota: ricomprare Zanna Bianca).







Cecità di José Saramago - ci spostiamo proprio su un altro piano. Ho idea che sia un romanzo toccante e bellissimo, e in effetti non so se ho proprio voglia di leggerlo ora che invece mi sto dando alla pazza gioia con letture un po' più disimpegnate. Forse me lo lascio come tredicesimo libro della sfida, quando giungerò al termine dei dodici fissati.







Un cantico per Leibowitz di Walter M. Miller - evviva, fantascienza! Pubblicazione nel 1959, tre raccontoni in sequenza temporale con salti di parecchi anni, i Monasteri unico rifugio della conoscenza, il mondo risprofondato nell'ignoranza e nella barbarie di un secondo Medioevo.
Non saprei dove collocarlo. Spero solo non mi faccia "effetto Fondazione". 










I trasfigurati di John Wyndham - evviva, fantascienza! Per il resto boh! Non so nient'altro, a parte il solito olocausto nucelare. Scatola chiusa. In ebook ovviamente, non avrei idea di dove trovarlo sennò, guarda quant'è vecchio. Prima edizione del 1955, penso che dopo un po' non l'abbiano proprio più ristampato.








Il lungo silenzio di Wilson Tucker - se l'ha ristampato Urania Collezione vuol dire che è entrato negli annali della fantascienza ed è probabilmente interessante, però sembrerebbe una cronaca di guerra e la prospettiva di leggere una cosa simile non è che mi faccia proprio andare in brodo di giuggiole.












Io sono leggenda di Richard Matheson - uno dei miei libri preferiti, dopo aver visto quel remake schifoso con Will Smith una rilettura ci sta tutta. 














Questo è quello che ho in programma, anche più del previsto, però non nego che ce ne sono almeno altri tre o quattro intriganti. Alcuni li ho scartati perché troppo lunghi, come Metro 2033 e Metro 2034, anche perché sono riuscita a trovare il secondo ma non il primo, ma ammetto che anche vedendolo in pubblicità su una qualche rivista ben prima di iniziare la sfida apocalittica m'è venuta voglia di infilarlo nei desiderata. Altri non li ho trovati o non li ho cercati bene, come La morte nell'erba, ma forse devo cercare meglio perché a quanto pare su Wikipedia è riportato come Morte nell'erba, senza l'articolo e ciò potrebbe aver falsato la ricerca. Anche questo è stato ristampato in Urania Collezione. Mi intriga un po' di più perché il virus responsabile dell'epidemia questa volta non colpisce in maniera diretta gli esseri umani, ma le piante erbacee causando scontri per i rifornimenti alimentari. In qualche modo devo trovarlo. Di un altro non mi ero proprio resa conto, Il seme inquieto, di Burgess (quello di Arancia Meccanica, per capirci... che comunque non ho letto). Già che è pubblicato da Fanucci mi da una buona impressione, c'è di mezzo una società despotica e militarista e pare intrigante. In qualche modo devo trovare anche questo. L'esercito delle 12 scimmie pensavo fosse ginormico, invece è sulle 2-300 pagine, l'avevo scartato per la mole ma ora che ho riguardato bene penso lo ricercherò e lo metterò in lista.
Ce ne sono altri... Picnic sul ciglio della strada, Nessuna tregua con i re (di Poul Anderson! introvabile, sigh), Addio Babilonia, La fortezza di Farnham (di Robert Heinlein!!!) ma niente, non sono riuscita a scovarli, neanche nelle biblioteche di Roma.

Mi attacco. Intanto il piano provvisorio è 
Il regno del sangue
La peste scarlatta ($)
Tenebre
Un cantico per Leibowitz
I trasfigurati
Io sono leggenda
Il lungo silenzio
Cecità




martedì 2 ottobre 2012

Profezie d'Apocalisse



Strano, ma la rilettura dickiana va avanti, d'altronde ci sarà un motivo se Dick è il mio scrittore preferito. Assieme a qualche lettura di stacco, estiva e non. Non mi dilungo su di esse, non ho colto l'occasione di farlo a mente fresca ed è difficile adesso ripercorrere le pagine già sfogliate mesi fa.

Una pietra miliare della mia carriera di lettrice è stata eretta quando ad aprile ho terminato i tre libri della Fondazione di Asimov, sentendomene piuttosto soddisfatta. Non ho mai provato grande attrazione verso Asimov, nonostante i temi fantascientifici siano fra i miei favoriti. Non so perché, forse mi intimorisce la mole della sua prolifica produzione. Approfittando però di una lettura collettiva di Altrove ho iniziato dalla sua trilogia. 


Non sono proprio entusiasmata dall'opera, francamente. E' senza dubbio godibile e ben studiata, ma i tempi sono troppo lunghi, è impossibile affezionarsi ai personaggi (ma, nonostante tutto, a qualcuno mi sono legata pur sapendo che sarebbe stata una meteora). Le vicende si susseguono su un piano molto politico, il che, per i miei gusti, rende la lettura fredda come un frigorifero. La vicenda del Mulo è stata la più avvincente e ho notato con piacere qualche parallelismo di questo personaggio con il protagonista del dickiano Cronache del Dopobomba.



Le letture di questi ultimi due mesi si incentrano su un unico tema. Si tratta della Sfida Apocalittica: l'obiettivo è quello di leggere un minimo (personale) di 12 libri a contenuto apocalittico, in preparazione all'Armageddon del 12 dicembre 2012, entro questa data, scegliendo i titoli in una consistente rosa di libri proposti.
Ho iniziato in sordina con La Nube Purpurea, di Matthew Phipps Shiel
More about La nube purpurea 
romanzo del primo novecento che risente abbastanza del suo secolo di età, della demarcazione di un confine piuttosto netto fra bene e male con simbologie appartenenti a questa o all'altra sponda della ragione talvolta seccante e un finale da deus ex machina abbastanza insensato. Tuttavia è un libro che mi è piaciuto molto e penso mi rimarrà in mente per molto tempo. Lo scenario è descritto in maniera vivida, la narrazione è in prima persona e molto intimista, barocca, se vogliamo, così ricca di orpelli, ma una che come me ha adorato la follia piromane del protagonista del Padiglione d'Oro,per quanto si tratti di due libri completamente diversi, non può non aver apprezzato i deliri di solitudine e la sua manifestazione incendiaria del novello Adamo di Shiel. Scorrendo i commenti di altri lettori su Anobii, molti non si sono saputi spiegare il suo comportamento insensato, che però a me pare perfettamente logico, nella sua follia.Cosa ci si aspetta da un uomo rimasto solo al mondo, circondato solo dalla morte e per di più un uomo che si sente manovrato da forze sovrannaturali, immense ed incontrastabili, molto più potenti di lui? Nella parte iniziale il misticismo aleggia attorno ai poteri bianchi e neri di cui egli stesso parla e si crea un'atmosfera un po' di Lovecraftiana memoria, che purtroppo nel corso del romanzo si perde. 
In conclusione si tratta di un libro prolisso e a tratti anche noioso, con molte incongruenze, fissazioni bibliche e un finale arrabattato, ma ben caratterizzato. Nonostante i suoi punti deboli, mi è piaciuto e mi ha colpita. Ho persino sognato un'apocalisse moderna con questa nube purpurea aleggiante nell'aria a distanza di qualche mese dalla lettura.


 Anni senza fine // Oltre l'invisibile // Camminavano come noi

E' stata poi la volta di Clifford Simak, con una fantascienza più recente. Di questa raccolta mi interessava, ai fini del percorso apocalittico, solo il primo romanzo, Anni senza fine, con una costruzione di una società abbastanza originale dominata dai cani che hanno preso il posto dell'uomo nel "dominio" del pianeta, anche se non è proprio corretto descriverla in questo modo. Ciò che mi ha colpita è la sfiducia profonda dello scrittore nei confronti della razza umana, incapace di elevarsi al di sopra della propria avidità e violenza nonostante ciò che di buono possa nascondere nel suo animo. Come se la "cattiveria" umana fosse qualcosa di assolutamente naturale, una legge imprescindibile a cui rassegnarsi. Abbiamo fatto di tutto per affidare i nostri tesori migliori ai cani, consegnando loro il testimone, istruendoli su ciò che di logico abbiamo costruito per poter fondare una società accanto ai quali coesistono robot in grado di sopperire alle lacune tecniche e logiche di cui mancano i nostri successori, ma a quanto pare, a livello civile, percettivo ed emotivo, i cani se la caveranno molto meglio di noi.
Non condivido granché questo pessimismo così profondo, ma il romanzo è godibile ed originale. 
Per contro mi è piaciuto fino ad esaltarmi il secondo romanzo, Oltre l'invisibile. Non si tratta di un libro a tema apocalittico, il filone è anzi quello dei viaggi nel tempo, e sicuramente è pieno di tanti di quei paradossi che io non riesco nemmeno ad immaginare -anche perché, intendiamoci, personalmente non sono mai stata brava a scovare i paradossi temporali: per me va tutto bene finché qualcuno non mi fa notare incongruenze anche elefantiache- ma anche in questo caso è un romanzo incentrato sulle percezioni ed emozioni del protagonista, Asher Sutton, che si susseguono nella narrazione nella quale il personaggio cresce ed assume sempre più consapevolezza di se stesso. Asher non è un uomo, in realtà: è l'unico a tornare indietro da una spedizione su 61 Cygni, dopo che la sua navicella si è schiantata contro la stella, uccidendolo nell'impatto. I viaggi nel tempo rendono la narrazione poco lineare e per questo anche difficilmente imprimibile nella memoria; la missione di Sutton è quella di consegnare all'umanità un grande dono di cui fazioni avversarie vogliono impadronirsi. Quello che mi ha però più colpita è il delineamento del personaggio di Asher Sutton, il suo spessore morale; egli ha travalicato l'umanità grazie al suo viaggio ed è diventato uber, un oltreuomo, un eroe braccato dai nemici dei grandi valori dell'uguaglianza, della dignità e del rispetto di ogni forma di vita, anche quella di un robot. Il rivoluzionario libro di Sutton insegnerebbe all'umanità a mettere da parte il proprio cieco orgoglio che fa sì che si consideri padrona dell'universo, subordinando a se stessa androidi, alieni, ogni altro essere. E così Sutton è braccato, affinché la società non possa essere cambiata, immobile nella sua ottusa determinazione allo sfruttamento di ogni cosa, persino l'altrui vita. I revisionisti non accettano alcuna rivelazione e tentano in più modi di uccidere Sutton, non coscienti di chi Sutton è realmente diventato. I pensieri del protagonista sono tormentati circa la sua missione e il modo in cui sarebbe meglio muoversi per compierla, e il tortuoso snodarsi degli eventi rispecchia i suoi affanni interiori. Sutton è un personaggio di cui mi sono innamorata, uno di quelli che entra nel gran Pantheon dei personaggi libreschi che non ti scrollerai mai di dosso, quelli che vorresti facessero parte di te e diventino un po' te perché hanno avuto qualcosa da insegnarti. Anche qui Simak non lascia trasparire una grande fiducia nel genere umano, è vero, ma il finale è un po' più rassicurante e speranzoso rispetto ad Anni senza fine, anche se in maniera piuttosto timida. Più che Sutton è probabilmente stato uno stimabile uomo lo scrittore che ha costruito questa figura così elevata. In effetti le sue sono opera di denuncia e critica contro guerre ed ogni forma di discriminazione, persino specista. Simak era un tipo in gamba con cui probabilmente sarei andata d'accordo. Mi piace.




   Cronache del dopobomba // Deus Irae

Anche Dick annovera produzioni post-apocalittiche, di cui una scritta a quattro mani con Roger Zelazny. In merito a Deus Irae ero particolarmente curiosa, poiché Zelazny mi aveva già fatto un'ottima impressione con le Cronache di Ambra, quindi chissà con una collaborazione del genere cosa ne sarebbe venuto fuori. 

Bè, in realtà una roba proprio strana. Un pout-pourri teologico bislacco, con una personificazione del male chiamata Lufteufel che è pure la manifestazione umana del Dio dell'Ira, contrapposto alla vecchia dottrina del Dio cristiano che mantiene intatta la sua speranza, la fede nel perdono, il sacrificio per la salvezza dell'umanità. Uno dei personaggi principali, il pittore focomelico Tibor McMasters, è costruito sulla falsariga di Hoppy Harrington di Cronache del Dopobomba. Insomma, su Deus Irae non ho molto da dire: in verità non so se non l'ho capito o se è una gran cagata. Forse sto iniziando a comprendere il finale, che però è stata la parte peggiore della lettura. Il libro è intriso di dualismo manicheo, facilmente deducibile dal fatto che esistono queste due fazioni così contrapposte, e i personaggi si perdono in elucubrazioni teologiche e filosofiche difficili. Gli eventi sono pressapoco i seguenti: in uno scenario post bombe nucleari in cui gli uomini vivono in piccole comunità e dividono il mondo con altre strane creature, la chiesa del Dio dell'Ira (chiamasi SCROFA, da pronunciare con spelling, grazie) incarica il suo artista McMasters di dipingere la cappella della chiesa della nuova religione possibilmente catturando la vera essenza della manifestazione divina in terra, Carleton Lufteufel, responsabile del lancio delle bombe che hanno ridotto il mondo ad un cumulo di macerie e radiazioni e pochi sparuti esseri viventi. Per raggiungere lo scopo l'inc(ompleto) parte per il suo sacro pell(egrinaggio) a bordo del suo carro con mucca, versione sfigata della Focomobile indipendente in possesso del più tecnologico Hoppy. Spaventato dall'idea del viaggio, McMasters pensa di convertirsi al cristianesimo, e vengono quindi presentati i personaggi della fazione cristiana. Ci ripensa e parte. Arriva a Lufteufel, ma... aspetta. Arriva a Lufteufel, davvero? Bè, lui pensa proprio di sì, il lettore sa la verità ma gli rimane comunque un gran senso di incompiuto a fine lettura. Soprattutto sul finale, molto alla "e quindi?". Lo sfondo è interessante, con tutte quelle creature frutto delle radiazioni e di tecnologia rivoltatasi contro i suoi stessi creatori: macchine riparatrici molto suscettibili, rotte ma orgogliose, computer affamati, rettili amichevoli ed insetti gradassi. Però è un libro difficile su cui tirare le somme, credo di essermi persa qualcosa per strada.




Cronache del dopobomba è invece più fruibile e forse uno dei migliori che abbia letto della produzione dickiana. Ho già parlato di quanto Hoppy mi ricordi il Mulo di Asimov: un personaggio deriso per e dalla sua fisicità, dalle sue menomazioni, fragile esternamente e con un'enorme voglia di riscatto che sfoga cercando di porre sotto il suo controllo dapprima l'intera comunità, poi il mondo intero. Certo, il fokky di Dick non costruisce un impero galattico, ma è ad un passo dallo spazzar via quel lume di speranza rappresentato da Dangerfield nel suo satellite orbitante, uno dei pochi elementi che garantisce coesione sociale ai gruppi organizzati di esseri umani dopo la catastrofe. Con lo scopo si sostituirsi a lui ed ottenere il rispetto e la considerazione che ha sempre desiderato, anche attraverso l'intimidazione. Il tutto sfruttando i suoi poteri psichici, la compensazione alle sue limitazioni fisiche, in grado persino di uccidere, altro elemento che lo lega e lo accomuna al personaggio del Mulo. 
Il Fokky è quindi senza dubbio il personaggio più interessante, ma sono tutti abbastanza ben delineati, tutti sull'orlo di crisi nervose, tutti a loro modo tormentati ed alcuni indiscutibilmente fuori di melone, come Bruno Blutgeld, che però... ha parecchie sorprese da riservare. 




Il popolo dell'orlo
Diamine, questo è troppo mormone! Si tratta di quattro o cinque racconti uniti fra loro nell'ambientazione, in alcuni personaggi, a livello di successione temporale, nella solita rinascita della società dopo una guerra nucleare. Ho avuto la prontezza di appuntare un commento sulla libreria Anobii, e lo riporto di seguito:


L'incipit dei racconti è intrigante così come lo svolgersi degli eventi. Si arriva però a punti in cui quasi ogni storia diviene irrimediabilmente stucchevole, ed intrisa di un sentimento religioso che non mi appartiene e che non posso comprendere né spesso condividere. L'ultimo racconto è forse quello che più si avvicina alla mia idea di misticismo, ma è costante la presenza di un sottofondo piuttosto moralista, sebbene voglia apparire illuminato dalla comprensione dell'umana debolezza e dall'idea della possibilità del perdono. I personaggi sono vividi e ben caratterizzati, ma i più interessanti, i più tormentati, diventano spesso prevedibili. Troppo "buoni", oserei dire a tratti disneyani. Esaltazione del valore della famiglia, dell'unione che fa la forza, del legame non tanto per la propria terra quanto per la propria patria (è diverso). E i cattivi rimangono i cattivi, senza grandi approfondimenti. Ad esempio, non molte parole sono riservate agli Irregolari, liquidati in poche righe come feccia della società. Bello il personaggio del ribelle Ollie, ma poco approfondito. 

Interessanti i due Teague, ma come già accennato, coinvolti in vicende dai risvolti davvero stucchevoli.

Insomma, la lezioncina morale è dietro l'angolo, ma non ha il mordente e gli alti ideali della critica di un Simak, che riesce ad andare oltre il concetto di divino, è un idealista di più ampio respiro. Questo qua è un mormone incallito anti-gay, come pretendi che possa scrivere qualcosa che parli di una comunione ben più profonda tra l'uomo e la terra e tutto ciò che contiene? Poi questi che si convertono così facilmente, ok Teague non è tra questi, ma... c'è sempre questa melassa che si insinua fra una riga e l'altra. 




 La Strada
Da La Strada di McCarthy mi aspettavo qualcosina di più, forse. Vi sono passi molto lirici, ma la situazione è talmente disperata che il viaggio risulta quasi un trattato scientifico, senza nulla cui aggrapparsi, la storia del cammino di un padre e un figlio verso una qualche forma di salvezza e umanità e la loro lotta per la sopravvivenza quotidiana, contro i demoni del freddo, della fame, della malattia, degli altri animali-uomo. Non l'ho trovato crudele, non l'ho trovato crudo più di quanto non trovi crudo un documentario. Lo stile è freddo (a parte quei momenti di poesia di cui accennavo) ed è una scelta che si armonizza bene con l'aridità della situazione, del pianeta che ormai ospita una manciata di esseri viventi: piante, animali, ogni cosa è per lo più morta e il declino della Terra a massa inerte di detriti senza vita pare inarrestabile. Mi è sembrato tutto molto naturale, la morte di ogni cosa e quindi i tormenti della fame e tutto ciò che di terribile si ci si possa aspettare da un animale uomo in via di estinzione, compresa la scena del neonato morto e arrostito allo spiedo. In tutta questa morte e decadenza un finale così proprio non me lo aspettavo. 




 L'ombra dello Scorpione
Eccoci al dunque, rimessi in pari con il romanzo in lettura. Di King avevo letto solo A volte ritornano, libro di racconti, e mi son dovuta confrontare per la prima volta con la mole colossale di un suo singolo volume. Ammetto che è a tratti molto provante. Si alternano guizzi interessantissimi sullo svolgimento delle vicende in cui vai avanti per 300 pagine senza staccare gli occhi dal foglio (elettronico, nel mio caso -a proposito, devo ricordarmi di scrivere un post sui vantaggi dei lettori ebook e "contro" i feticisti del libro come oggetto), insomma, momenti estremamente avvicenti e poi si cala nell'abisso della noia del flusso di pensieri inutilissimo di ogni personaggio. Per motivi editoriali la prima stampa del romanzo aveva subito un taglio netto di 400 pagine. Poi è uscita l'edizione integrale, quella che sto leggendo io, con mille e cento pagine e spicci. King, siamo sinceri: di quelle 400 pagine non se ne sentiva la mancanza. Ho l'impressione di percepire benissimo dove son passate le forbici per la prima edizione e dove sono state ritirate. Ci sono pagine e pagine di fuffa. Per carità, fuffa che arricchisce di dettagli, certe volte dici "oh guarda!", ma altre volte ti sale la nausea. Prolisso, eccessivamente dettagliato, diverse parti inutili. Ho un rapporto ambiguo con questo libro. In linea generale mi sta piacendo. Per ora sono quasi a pagina 800, non manca moltissimo.
L'aspetto che a mio avviso perde di più dell'eccessiva lunghezza e attenzione ai flussi di coscienza dei personaggi è che alla fine essi sembrano uniformarsi un po' tutti. Il più interessante è sicuramente, finora, Harold Lauder, il ciccione fallito, il più tormentato dall'intestina lotta fra il bene e il male, sebbene sia veramente insopportabile e desidero che crepi presto. Il mio preferito è invece Stu Redman, forse perché da subito l'ho immaginato con l'aspetto di un giovane Clint Eastwood. Vivo invece un'insanabile contraddizione nell'immaginare l'aspetto di Larry Underwood. All'inizio del libro la sua voce è definita simile a quella di un nero, e ho iniziato ad immaginarlo come Mario Biondi. Solo che Mario Biondi è pelato come un uovo sodo e l'autore continua a più riprese a farmi notare quanto sia capellone Larry Underwood. No King, non ci sto, Larry ha la faccia di Mario Biondi e la storia è chiusa,ok? Niente capelli, liscio come una palla da biliardo. I can really dig my man, baby. Intesi?
Nel complesso comunque è il libro post-apocalittico più completo che abbia letto fin d'ora, che non esaurisce il racconto alla diffusione della forza distruttiva ed annientatrice (un virus influenzale creato in laboratorio come arma biologica dagli Americani), né alla ricostituzione della società, ma va ben oltre, inserendo un enigmatico elemento mistico, un grande scontro fra bene e male di proporzioni gigantesche di cui la superinfluenza sembra solo un preludio. Sebbene questo dualismo bene-male così definito torni in altre opere (in Dick ad esempio), lì la dicotomia sembra essere una conseguenza dell'evento catastrofico, mentre qui è l'annientamento a sembrare come una "prima fase" della lotta fra le due forze che sembrano tirare le redini della sorte del mondo (forse è una situazione simile a quella di Shiel, dove però il misticismo ben presto si esaurisce). I sopravvissuti alla distruzione ritrovano loro stessi ed i loro simili grazie ai sogni, sogni vividi, intensi, premonitori, che li guidano e li radunano  attorno alle due figure totemiche, rappresentazioni del bianco e del nero. Come andrà a finire? 300 pagine lo sveleranno.
-Larry Underwood intento a cantare il suo grande successo prima della diffusione dell'epidemia di superinfluenza-

-Ti sbagli, non è Dexter, ma l'uomo nero Randall Flagg, il MALE!-

- Niente Gary Sinise, ecco il mio Stu Redman. Cavolo che figo... -
(bè dai Gary Sinise non ci sta male, ma vuoi mettere con Clint Eastwood?  ♥♥♥ )