giovedì 12 aprile 2012

That's amore.

Non scrivo qui da una vita, e credo di sapere il perché. Forse ve ne è più d'uno: una vita universitaria in netta ripresa, l'aver trovato uno spazio comune dove parlare di libri con qualcun altro in maniera tranquilla e in un ambiente familiare (si chiama La vita è altrove ed è un carinissimo forum a tema libri e letture, ma non solo, grazioso perché piccolino e spero rimanga tale per molto tempo ancora), il fatto di aver proseguito con letture sì gradevoli ma forse non entusiasmanti, lo dico col senno di poi. Non entusiasmanti almeno rispetto a ciò che ho ripreso in mano adesso, che è forse il mio autore preferito in assoluto, ebbene sì, lo ammetto e forse lo negherò quando incontrerò qualche altro autore valido che rapirà il mio cuore di lettrice, ma adesso il primato è solo per lui, per Philip K. Dick. 
Anni or sono, almeno sette, spesi parecchi soldi nell'acquisto di diversi suoi libri, ove potei ne ciulai qualcuno, ma li divorai con notevole voracità. Ciò che mi rimase da quelle letture per me così nuove e stupefacenti fu un senso di meraviglia per qualcosa di simile ad un abisso destabilizzante, qualcosa che forse erroneamente può essere definito un immenso pessimismo, ma che forse è improprio. E poi vaghi ricordi delle trame dei libri, che amai, ma più di tutti mi innamorai degli ambienti futuristici ma decadenti, del continuo ribaltamento di prospettive, della relatività di tutte le cose, dei personaggi inetti e dipendenti. 
E' indubbio che le opere di Dick siano molto nere e molto cupe. E quella che, fino ad una freschissima rilettura, consideravo la più cupa (senza ricordarne il perché) era Le Tre Stimmate di Palmer Eldritch, che apprezzai discretamente ma poco capii. 
La mia rilettura di Dick è iniziata dal suo romanzo che è sempre stato il mio preferito, Ubik, bello anche per via della sua copertina rosa shocking dell'edizione che possiedo, che avevo già letto almeno tre volte. Per fortuna la memoria mi aiuta nelle riletture, nel senso che dello svolgersi degli eventi e del finale ricordavo ben poco, e me lo son gustato come se fosse la prima volta. La mia ennesima immersione nel mondo di Ubik non ha cambiato di una virgola il mio parere, il libro è superbo, la vicenda costruita egregiamente. Lo amo di un amore viscerale.
Ciò che finora mi ha stupito invece (ed ho solo terminato il secondo romanzo! Me ne rimangono almeno 10 in mio possesso da rileggere, e fremo dai tesori che potrò trovarci) è stata la rilettura delle Tre Stimmate. Ho già spiegato perché ho scelto di rileggerlo fra i primi, e la mia scelta è stata saggia, poiché, non ricordavo, solo ora mi accorgo dei punti in comune che possiede con Ubik, ma di cui però è più compiuto. Forse mi sto ricredendo e il primato per il vertice del podio va alle Stimmate che scalza Ubik a sorpresa. 
Difficile esporre la trama del libro senza banalizzarlo o eliminare ciò che del libro stesso rappresenta la grandiosità. Meglio che in Ubik, dove il ribaltamento delle prospettive è presente in maniera forte, ma principalmente in determinati punti salienti del racconto ("Io sono vivo, voi siete morti", ed infine il destabilizzante finale), in Palmer Eldritch sembra di trovarsi di fronte al celebre quadro di Escher: cambi di prospettiva continui, esperienze assolutamente soggettive, piani di realtà continuamente intrecciati, intrecciati fra loro, intrecciati con illusioni, sogni che diventano realtà e realtà che si traspongono nelle illusioni. Il pessimismo e la cupezza che caratterizzano Dick qui non riesco a considerarli aspetti totalizzanti dell'opera: ampio spazio è invece riservato al dinamismo e alla tensione della lotta. Lotta contro delle forze inizialmente considerate malvagie in ambo i libri, ma che tuttavia poi si rivelano quasi naturali (o sovrannaturali, ma mai davvero "cattive": lo sono solo in relazione agli effetti sui protagonisti e non in senso assoluto, esattamente ciò che intendo con "naturali"). In Ubik è la forza distruttiva e sadica di Jory, nelle Stimmate è Palmer Eldritch o l'essere, la cosa che egli incarna. E per quanto sia vero che, soprattutto in Ubik, la visione sia quasi manichea, bianco e nero, la buona Ella che con Ubik aiuta Joe Chip ad uscire dal suo inferno e contrastare la "larva astrale" rappresentata da Jory, che con un'energia così potente e vitale risucchia le ultime scintille di vita dei suoi simili, per quanto sia vero che questa visione, dicevo, sia piuttosto manichea, l'estrema vitalità di Jory è una forza neutra e contro la quale l'unica via d'uscita è una lotta, una resistenza continua e strenua da parte dei semivivi e del loro Ubik. E la lotta nelle Stimmate è contro Palmer Eldritch, anch'esso una sorta di entità astrale negativa, ma non per sua volontà, e questo nell'opera diventa palese. Palmer è forse un essere di Proxima per la quale il possesso delle menti degli esseri umani e la comunione con essere è la sua modalità riproduttiva. 

[continua]