lunedì 21 giugno 2010

Ahrrrr.

E una bottiglia di rum per conforto.

Mi vanno di moda i pirati.
Come al solito inizia tutto per caso, forse per colpa di Uàn Pezzo, forse e non da meno perché le febbri me le lascio attaccare volentieri (qualche ottuso la chiama "personalità di pongo"; io la chiamo invece "meravigliosa passionalità", strumento assolutamente indispensabile ad un curioso degno di questo nome).
More about One Piece One Piece è un manga che mi ha assolutamente rapita. Purtroppo sono attualmente in stallo, ho decisamente troppo materiale, fumettistico e non, da leggere in contemporanea, ma poco male: divorare non riempe panza.
Probabilmente, nelle mie personali classifiche, possiede la miglior caratterizzazione dei personaggi che io abbia mai scovato in un manga mainstream. Tutto sommato è facile cadere negli stereotipi: "fragga fragga" vende bene, meglio se con le pin-up dalla personalità di un panetto di burro (Bakuman insegna), meglio ancora se ci infiliamo un po' di valori ancorati al tradizionalismo. Oda, almeno fino al quindicesimo volume, non ci riesce proprio!
Primo, i protagonisti sono pirati. Il pirata è un ribelle, un autonomo, un uomo libero, un anarchico, uno con regole non dettate dall'istituzione, malvisto dalle classi dominanti. Spesso, un cattivo. Ci sono i contrasti col Governo Centrale, per adesso ancora da chiarire, ma che contribuiscono a dar rilievo al loro status di dissidenti.
Secondo, la fantasia di Oda è senza limiti. Il suo senso del fantastico rende le sue tavole divertenti come poche. Dall'uomo dai capelli afro racchiuso per vent'anni nel forziere ai bislacchi effetti dei frutti del diavolo, tutto è assolutamente spumeggiante, di una creatività unica.
Ultimo punto a suo favore, certamente non in ordine di importanza, la già citata caratterizzazione dei personaggi, in particolar modo delle donne. Fumetti mainstream come Naruto, ad esempio, riescono a costruire personaggi maschili anche secondari di un certo rilievo od originalità, ma lo stesso non si può certamente dire che valga per le donne. In One Piece le figure femminili sono assolutamente alla pari, e le donne vengono mostrate in tutte le umane differenze che le distinguono le une dalle altre. Persino, udite udite, nell'abbigliamento. Le donne di One Piece soffrono per qualcuno che non sia un maschio amore perduto o anelato, FINALMENTE esprimono a chiare lettere cosa possa significare avere alle calcagna l'ombra di un uomo che lo stereotipo vuole diventi più forte di lei, e combattere quest'ombra e questo stereotipo (Kuina, nella sua breve apparizione in flashback, ha un grande ruolo), sono avide, sono fraterne (guarda caso, parola con radice maschile), non sempre tettone, sono addirittura navigatori. Nami osserva il mondo, disegna carte, elabora piani, è VIVA, e di vita sua propria, che vive innanzitutto in funzione di se stessa, finalmente.
Nota di merito ENORME al signor Oda per questi primi 15 numeri.


More about La Santa Rossa Altra opera, altri pirati. Ecco quelli di Steinbeck, autore a cui "qui" non ho reso affatto giustizia. Ho divorato sette suoi libri in meno di due mesi negli ultimi tempi, e avrei continuato se avessi avuto altro della sua produzione a mia disposizione. Ne ho parlato poco, perché di poche parole necessitano i capolavori. Su questo piratesco romanzo di formazione però, schizzato in vetta alla mia personale classifica, vorrei spendere due parole.
Mi comincia un po' in sordina, con quest'atmosfera un po' mistica della campagna gallese in cui vive il giovane Morgan, e queste due figure femminili che lasciano a desiderare, Mamma Morgan e la giovane Elizabeth; l'una assolutamente limitante nei confronti degli aneliti del giovane Henry, se vogliamo anche un po' ottusa nella sua quotidianità e staticità. L'altra, un mero ideale, esempio di virtù femminile, la bella del protagonista. Poi, in un crescendo, si dipana la vita di Henry Morgan, prima venduto a sua insaputa come schiavo a Barbados, poi costruttore della sua vita da pirata. Uomo solo, senza amici, di soli amori carnali e fugaci, è investito completamente dal fiume in piena dei suoi sogni: la conquista senza sosta di terre, tesori, spingendosi oltre ed ancora avanti, in un'infinita ed implacabile tensione verso l'infinito. Eroe romantico, l'acme del suo sogno si incarna nella figura della Santa Roja, una donna bellissima e dalle eccellenti virtù che si dice viva a Panama, la Coppa d'Oro dei possedimenti spagnoli. Raduna un'enorme ciurma, la sua fama è ormai giunta alle orecchie di tutti. Elegge il giovane Coeur-De-Gris a suo unico amico. E corre verso Panama.
L'acme del sogno dell'eroe romantico è una contraddizione in termini. Non corrisponde affatto al massimo piacere: è il momento in cui il castello, rovinosamente, non può far altro che sgretolarsi. Cadere al suolo. E così è. Morgan perde il suo occhio fanciullo, il suo animo ribelle, la sua essenza di pirata. Cede se stesso alle istituzioni e alla pace della vita tranquilla e ritirata. Il velo di Maia non è più sui suoi occhi... o forse essi ne sono improvvisamente annebbiati?
Forse non c'è differenza, ma mi piace di più la seconda opzione.
Il climax ascendente possiede, nel libro, dei momenti di unico lirismo.
Il personaggio di Coeur De Gris è solo da amare, ed i momenti dei suoi dialoghi con Morgan sono i più salienti di tutto il romanzo. E Henry ama Coeur de Gris, di un amore collocato a metà strada fra quello per un compagno e l'amor proprio. Coeur de Gris appare in funzione di Morgan, perché altro non vedo in lui che uno specchio, il suo doppio, parte di lui. Ho visto il giovane spadaccino farsi coscienza del capitano nella bellissima scena dell'estenuante camminata verso Panama, in cui Coeur de Gris, delirante (o no?) per il sole ed il caldo, mostra a Morgan ciò che egli è veramente, un uomo come tutti. Cosa che Morgan non riesce e non vuole accettare, preferisce di no, tanto rapito dal vortice della sua passione cupida. Cupida di cosa, poi, non lo sa nemmeno lui. Semplicemente, non è capace di godere del presente.
Non accetta che ognuno possegga dei sogni, non accetta di non sentirsi diverso, tanto da arrivare al tragico gesto della scena, forse, più patetica del libro: Morgan, col cuore praticamente in tempesta per via dei recenti avvenimenti, fra cui lo shock per l'incontro con una "banale" Ysobel -una Santa Rossa che poi così santa non è- senza nemmeno pensarci, preme il grilletto e spara al petto della sua inascoltata coscienza. Uccide Coeur de Gris, uccide parte di se stesso. Ma, paradossalmente, uccide di se stesso quella parte sognatrice, insaziabile, romantica e assetata di desiderio che l'ha reso quel gran personaggio che è stato.
Il declino è inevitabile, ed inevitabile è la sua "conversione" a corsaro. Il denaro e l'inutile ciarpame dorato acquistano improvvisamente il valore che prima Morgan non riusciva a percepire. Diventa parte dell'istituzione, combatte la pirateria, manda al patibolo per il governo i suoi stessi compagni. Vita e morte di un eroe romantico.

Se dovessi dare un voto a parole a questo libro, scadrei nella banalità più infima. Bellissimo, stupendo, meraviglioso, ecc. ecc. Un'opera travolgente. Questo Morgan mi ha rapita. Me lo vedo, che guarda il mare verso Panama, godere del piacere del desiderio di mettere le mani su un sogno. E bada, il piacere non è la sua realizzazione. La bellezza è nel desiderio e nel sogno, solo nel desiderio e nel sogno. Banale è anche la conclusione ultima: in questo Morgan mi ci riconosco un tantino. S'era capito? Bè, chiedo venia per la scontatezza. E per il sentimentalismo del commento. Mi sono innamorata di un libro, bè, NON SI PUO'?
Tzé.

mercoledì 9 giugno 2010

Goth is NOT what you make of it

More about Gothic art Questa è difficile. Ho già provato a buttarla giù, ma non riesco a non farla sembrare una sciocchezza, o una lagna da vecchio old-school. Probabilmente è entrambe le cose.
Ad ogni modo... ero in vena di riversare una buone dose di sadismo su pubblicazioni non propriamente di mio gusto, no? Allora perché non farlo su questo volume illustrato? Si tratta di una summa di tutto ciò che odiernamente può essere coperto dall'ombrello del cosiddetto gothic... con tanto di carta patinata e sovraccoperta come si deve. Il tutto utile quanto una perla di Guttalax somministrata ad un dissenterico.
Sì perché adesso "gothic" è una parola che va molto di moda. Più in generale, va molto di moda pescare un movimento musicale vecchio di 20 o più anni e affibbiargli il significato preferito. Un po' come ridipingere casa. Insomma, c'era una volta il postpunk. C'era una volta il Batcave, c'erano una volta i videoclip, c'era una volta, insomma, il gothic come musica e fermento culturale. Adesso si gioca a svuotare il secchio. Complici wikipedia e myspace, i movimenti (uso una definizione bruttina, che non me ne vogliate) "a base musicale" nati e cresciuti in un dato contesto e tempo storico (metal compreso, si veda come referenza la formazione dei Black Sabbath, per rimanere in Europa) sono stati rimodernati.
E' nato, ad esempio, il nuovo movimento gothic, di cui espressamente parla il libro in questione, Gothic Art. Si tratta di un movimento che pare fare di Isabella Santacroce un vero punto di riferimento, vista la comune fascinazione per i Preraffaelliti di cui si vantano tanto entrambi e da cui, così è scritto nella prefazione del libro, gli artisti "gotici" traggono ispirazione.
Francamente, di preraffaellita non m'è parso di vedere un bel niente in quel libro là. Ci ho visto tutta la pateticità di chi deve fingersi malato per non apparire ciò che è realmente, cioè vuoto.
Il nuovo "movimento gotico", su cui queste illustrazioni ci illuminano almeno in parte, è un fantastico calderone di monnezza presa qua e là da ciò che è piaciuto, sia delle subculture giovanili sia non, a chi ha voluto lucrare sulla ricostruzione di una nuova "identità alternativa". E così, il gothic è musica (metal E un pizzico di wave E canti gregoriani, come se avessero qualcosa a che spartire l'uno con l'altro tutti e tre... ma HANNO le ORECCHIE?), ma anche gothic attitude, la sensibilità spiccata con cui nasci, l'attrazione verso la morte e le gonne di tulle, la depressione e la sociopatia. E il sesso promiscuo. Ed è anche arte figurativa, ovviamente. Belle signorine dall'ampio décolleté magistralmente sollevato da un corsetto color scarlatto che piangono lacrime di rimmel sbavato, tutte assorte nel loro male di vivere. Scheletri, bestiacce e corvi neri attorno a mascheroni ghirigorati e zeppi di crinoline, gonfie da far invidia a vele di navi in piena bonaccia. Leitmotiv di bambole di porcellana bianca circondate da sangue. Con un occhio di riguardo alle nuove tendenze: una profusione di gente cablata e capelli a cilindro, tutto grigio o color neon, o entrambi. Ma mai troppo colore, per carità: dovesse perdersi l'atmosfera dark...
Tutto magistralmente costruito.
Così, via, feticismo, vinile e latex, sadomaso, zeppe, musica elettronica spinta, synthpop, metal '80 e merdal di nuova generazione (di quello coi rutti), una qualche nozione di wave, amore per gli archi a tutto sesto e Notre Dame de Paris, per il vestiario vittoriano e i """romanzi gotici""" (quelli della Rice? Certo, certo... assieme a Poe e Baudelaire, due classici che non mancano mai), preraffaelliti e romantici, TUTTI ASSIEME affiatati in un'orgia infinita.
"Il termine gothic è ambiguo e soggettivo... classicismo medievale e rinascimentale... post punk e rinascimento gotico...industrial... sinistri fumetti"
In gothic art, questi termini si possono trovare, e... sì, tutti assieme. Con sommo piacere delle case discografiche, si distruggono la musica e la sua storia per creare nuovi fenomeni commerciali finto-alternativi ma di fatto assolutamente mainstream. Nulla contro ciò che sia non propriamente "di nicchia": non sono io a ricercarlo, ma i novelli "alternativi". Che indicono concorsi di bellezza su fecciabook per eleggere "miss gothic metal 2010". Ah. Alternativo. Davvero. Anche molto gothic, col tuo cerone alla Vampiro Lestat, il perizomino in polivinilcloruro lucido e le lacrime di photoshop.
Ah, un piccolo appunto.
Questi sono i Mission UK. Un po' diversi dall'immaginario del movimento gotico... carino Wayne Hussey con la sua blusa indiana azzurrina, gli stivaletti a punta (senza zeppa) e le collanine argentate, nevvero? :-D
No, goth is NOT what you make of it.

P.S.
fino ai 17-18 anni si fa in tempo ad uscirne, davvero. I baby bats sono sempre esistiti. Servono solo un paio di orecchie, buone compagnie e una sana dose di cervello. Passati i 20... è troppo tardi!

Bakuman, ovvero: la felicità di essere donna in occidente

More about Bakuman vol. 1 Di Bakuman, serie appena uscita in Italia, mi avevano parlato bene: divertente, fresco, interessante, per di più frutto del lavoro della coppia Takeshi Obata e Tsugumi Ohba, disegnatore e sceneggiatrice dell'ormai famigerato "Death Note".
In verità, già il primo tankobon mi ha scossa di brividi, e non me l'aspettavo. No, non erano i brividi d'impazienza che mi han fatta sussultare in Death Note... alla fine del volume, ero felice. Felice di essere donna in un paese europeo.
Sì, sembra estremamente presuntuoso uscirsene con una tale frase. Ma, d'altronde, i protagonisti del "sogno nipponico" narrato nel manga, quello di divenire mangaka, come ti sbagli, non potevano che essere maschi. E nel seguire i loro pensieri e i loro squarci di vita, nonché i loro rapporti con le ragazze, ho scoperto cosa significhi davvero la perfetta coincidenza:

Ma il nipponico maschio, lui non è un represso. Non viene distrutta in lui, fin dalla più tenera età, qualunque traccia di ideale. Possiede uno dei diritti umani fondamentali: quello di sognare, di sperare. E lo usa. Immagina mondi chimerici in cui è libero e padrone di se stesso.
La giapponese non ha questa fortuna, se è stata ben educata, come nel caso della maggior parte di loro. E' stata per così dire amputata di questa facoltà essenziale.

(Amélie Nothomb, "Stupore e Tremori")

Sì, è vero che anche quella scopa di protagonista femminile presente nel manga condivide, in un certo qual modo, il suo sogno con i mangaka in erba. Ma è un sogno che esiste in funzione di loro. E non ha la forza del sogno degli uomini. Perché? Il sogno della signorina (che porta lo stesso nome dei fagioli rossi giapponesi), quello di divenire una doppiatrice di anime nonostante la sua esagerata timidezza, esiste in quanto premio. Ma, figurarsi, non premio per se stessa: la realizzazione del suo sogno è legata alla promessa di darsi in sposa a uno dei giovani protagonisti. E questa è la cosa più significativa che afferma in tutto il volume. Per il resto, l'abilità della donne, si sa, consta principalmente nel rendersi invisibili, e lei ci riesce benissimo. Si nasconde dietro alla mammina se incontra il suo amoroso, arrossendo; pone come condizione al suo bello quella di non comunicare affatto fino a quando non si saranno completamente realizzati; fa parlare di sé come una ragazza educata in maniera impeccabile.
Di lei, l'aspirante sceneggiatore e studente modello Takagi, ecco cosa afferma:

Anche il suo sogno da doppiatrice. Ho l'impressione che abbia scelto un sogno normale per una "ragazza" come lei e adesso se lo stia godendo. Non sente la pressione del futuro come noi. [...] E ciò a cui aspira di più una "ragazza" è diventare una bella moglie, non fare carriera. E anche da sposata, come si conviene a una "donna", continuerà a mantenersi carina ed educata. Ma non per calcolo, le viene naturale, ed è per questo che secondo me è cento volte più intelligente di Iwase, la più brava della classe.
Quel fascino [di Azuki] è il risultato della ricchezza della sua famiglia e del suo cuore, una grazia che è frutto della sua intelligenza.

La verità è che, rileggendo il passo, le mani mi sono diventate fredde. Non solo è palpabile l'impronta estremamente maschilista che a quanto pare è una delle colonne portanti della società nipponica. Bakuman è un realistico spaccato dei sui difetti peggiori. Takagi non fa che parlare di ereditarietà. Ecco l'immobilismo sociale. I ragazzi decidono di sfondare all'età massima di 18 anni. Ecco l'inutilità dell'età di mezzo. Realizzandosi, diventeranno veri uomini. E affiora continuamente il maschilismo.
L'intento del fumetto parrebbe quello di scuotere le coscienze presentando loro un messaggio di speranza: "Vuoi diventare un banale impiegato?" chiede Takagi al suo compagno disegnatore. Mashiro, dal canto suo, riflette molto sul grigiume di quello che sarebbe il suo "percorso obbligato", il cammino già scritto per diventare l'obbediente formichina: studiare con dedizione, fare bella figura agli esami di ammissione, iscriversi a un ottimo liceo e ad un'università prestigiosa. E decide la sua personale ribellione: realizzerà invece il suo sogno. Trova la comprensione di chi pensava non lo avrebbe mai aiutato, mentre OVVIAMENTE sua madre, che è una donna, non può capire (citazione letterale), rappresenta l'unico ostacolo familiare, per fortuna abbattuto da subito, alla realizzazione delle sue speranze.

Insomma, un manga che si presenta rivoluzionario e verde di speranza, ma che di fatto è inzuppato fradicio di contenuti retrogradi, conservatori, tradizionalisti, in una parola sola PESSIMI. Ciononostante, col beneplacito di chi cortesemente me lo presta, continuerò la sua lettura. I manga sono letture sottovalutate, ma sono un contributo preziosissimo alla ricerca antropologica. Forse riusciremo a scoprire, in occidente, verso quale direzione si sta muovendo (se lo sta facendo) il popolo giapponese. Spero per loro, comunque, che sia almeno un po' meglio di ciò che immagino.
Fortunatamente, qualcosa d'altro è possibile. E di quel qualcosa d'altro scriverò a breve. Con entusiasmo.

giovedì 3 giugno 2010

Acidità

Maree ormonali.

Il piccolo principe è un libro di una banalità disarmante. I libri banali si riconoscono da mille miglia di distanza:

-piacciono a tutti (tranne a me)

-sono assolutamente autoreferenziali, puoi attribuire loro il significato che desideri

-sembrano celare enormi significati filosofici e misteri sulla vita (salvo nascondere un'incredibile pochezza)

-lasciano enorme libertà al lettore di raccogliere odiose citazioni e sciorinarle a destra e a manca

-nessuno di coloro che li ha letti sa dirti perché gli è piaciuto (si limita a dirti: "ma è belliiiissimo, ha da insegnare molto!)

-tendenzialmente, sono stupidi

Questo bamboccio in giro per i pianeti che parla con le rose è esattamente così: scemo. Se sei adulto e hai bisogno di leggerlo, hai deficit emotivi talmente grossi che suggerirei un'immediata visita al DSM.

L'Alchimista di Paulo Coelho, rispondendo in maniera esatta a tutti questi requisiti, in grado di trasformare un normale libro in un vero libro banale, infatti gli assomiglia moltissimo. Il protagonista è un povero cretino che và "dove ti porta il cuore" -libro che purtroppo non ho letto, ma scommetto cent'eurI che i requisiti li soddisfi anche lui, con questo titolo, poi...

Il tipo peregrina alla ricerca di... cosa? Della felicità, dell'amore, della realizzazione personale. Grazie al suo cuore, che conosce tutte le cose. Realizza la sua leggenda personale. Mioddio.

La linearità del linguaggio fa paura. E poi, è come l'oroscopo. Un vestito di lycra. Libri che prendi, e li adatti esattamente alla tua persona. Ma la perdita della singolarità non è un pregio! L'assenza di peculiarità è l'omologazione. Una porcata. Non vorrei MAI da scrittore, che un mio libro diventasse un best seller. Se non esistessero i soldi, ovviamente.

Ma parliamo un po' di Baricco. Ho letto Seta ultimamente. L'ho conosciuto con questo. Piacere, Alessandro, scrivi da cani. Le tue metafore mi rizzano i peli. Sembri un liceale alle prese con un tema che non è in grado di arricchire, e allora inventa porcate. Che stupida storiella. Descritta stupidamente. Un libro fatto di spazi vuoti. Meglio dei pieni, probabilmente: quelle ripetizioni continue nella descrizione del viaggio di Hervé fanno calare le braccia.

E poi, immancabili, le frasi da diario, quelle del libro banale.

Era d'altronde uno di quegli uomini che amano assistere alla propria vita, ritenendo impropria qualsiasi ambizione a viverla.

Si sarà notato che essi osservano il loro destino nel modo in cui, i più, sono soliti osservare una giornata di pioggia.

L'immancabile giudizio comportamentale, il grande monito, la scintilla che ti apre la porta della percezione e ti fà vedere, sì, ti fa vedere che quella vita è proprio la tua! Seguono riflessioni esistenziali, elucubrazioni sui grandi temi della vita, e chi più ne ha più ne metta.

Ho d'improvviso un' illuminazione: ecco perché si chiama Seta! Come leggere il nulla. Per dirla alla Baricco. Inconsistente. Sul serio. Carta buttata. Povere foreste!

Mi ricorda una brutta (!) poesia di Neruda. A me piace Neruda. E ci capisco poco di poesia. E quella poesia, non la soffro. E' la poesia dell'immancabile giudizio comportamentale. E' una poesia presuntuosa, sciocca, di passione cieca. Passione cieca che guida chi non sa guardare col cervello, solo colla forza di un sogno. La poesia in questione è Lentamente muore. La odio. Dice qualcosa di giusto, ma la odio. La odio con la veemenza della stessa passione cieca della poesia stessa. E non è la paura di morire lentamente che me la fa odiare. E' che la odio, e basta.

Ma ho divagato.

Qualche altro libro su cui spalare escrementi?

Della Yoshimoto ho già parlato. Lei costruisce la banalità degli pseudo artisti d'arte moderna. Come prendere un water, aggiungervici dei fiori, una carrucola, un elefante, una gamba di tavolo e un mouse rotto e proclamare un nuovo capolavoro. In realtà, hai costruito mezza discarica. Sìsì, hai fatto qualcosa: mezza discarica. Questo era il mio pensiero in merito a N.P. Libri per la massa. Ma anche per il resto. Il resto però è di una pochezza tanto...poca che non ricordo nemmeno la trama, o i concetti salienti del libro. Scivolano addosso come l'acqua sulla tela cerata. Altre foreste abbattute per nulla.