mercoledì 31 ottobre 2012

La sfida continua, nonostante tutto

Il bilancio è, per adesso, di 10 libri letti più uno in lettura. I piani, come sempre, sono leggermente cambiati rispetto alla lista stilata diversi giorni fa, ma sono i libri che mi chiedono di sceglierli e di leggerli quando loro lo desiderano, ed io li lascio fare.
Il percorso non è dei più semplici, se non altro perché sto incassando numerose delusioni, soprattutto -a sorpresa- proprio dal "reparto fantascienza" della lista. 
Ma andiamo con ordine. Dopo la terribile esperienza del libro precedente, ho cercato ventate di freschezza con Un cantico per Leibowitz, che rimando a più tardi. Successivamente sono passata a:

I Trasfigurati - John Wyndham (N.B. spoiler)

Non malissimo, ma, tirando le somme, lo considero una delusione. Non so se il fatto che l'abbia trovato molto stringato sia da imputare alle pessime scelte editoriali Urania di sforbiciare qua e là nei romanzi, con scarso rispetto per i lettori, per l'autore e  per l'opera, oppure al libro stesso. 
L'incipit lasciava ben sperare. Siamo a diversi secoli di distanza da una catastrofe nucleare che distrusse un'epoca intera, i cui unici relitti sono i precetti della Bibbia, quelli di secondo testo sacro e, infine, le mutazioni che continuano a colpire uomini, piante ed animali. Non che queste ultime siano ben accette: i precetti affermano, infatti, che la Norma debba essere preservata ad ogni costo, sia pure quello di distruggere raccolti, uccidere le bestie e privare di ogni tipo di futuro i mutanti umani. 
Ogni deviazione dalla Norma sgomenta e inorridisce i tranquilli cittadini di [inserire città americana che non ricordo] . Ma cosa succederebbe se le mutazioni non fossero più fisiche, ma mentali, e dunque invisibili? Se i mutanti si nascondessero dietro ogni persona comune, celandosi dietro l'apparenza di una Norma? Il protagonista è costretto a non rivelare il suo segreto, combattendo ogni giorno contro il bigottismo estremo della sua società e della sua famiglia in primis ("GUARDATI DAL MUTANTE!" gli ricorda ogni giorno il quadro appeso nella grande cucina della sua abitazione), nonostante la sua abilità, e quella dei suoi simili, rappresenti uno straordinario passo avanti nella comunicazione degli esseri umani. Il loro contatto avviene mediante una sorta di telepatia, quelle che l'autore definisce "forme pensate", scambiate anche a distanza, senza necessità di alcun contatto visivo o sonoro, abilità che accresce l'empatia e la sensibilità dei suoi fortunati possessori. 
Ben presto, però, i nostri vengono scoperti, cacciati, perseguitati. Sono costretti a rifugiarsi nelle frontiere, ove, esuli, vivono i mutanti reietti cacciati dal territorio dei Normali. Tutto sembra andare per il peggio, quando dei provvidenziali stranieri provenienti dalla Zelanda riescono a contattare telepaticamente i protagonisti e a trarli in salvo, liberandoli dalla condizione di emarginati e "diversi" e portandoli con loro in una società progredita in cui l'uomo, un nuovo tipo di uomo, ha ormai preso pieno possesso della sua nuova grandiosa facoltà.
Detta così la trama è molto intrigante. I personaggi si muovono bene nelle situazioni, sono abbastanza vivi e sono verosimili dialoghi e rapporti. L'idea di un contatto estremamente intimo tra le menti, impensabile per chi non possegga il dono della telepatia, è molto affascinante. Forse però non sono d'accordo con lo sviluppo del finale. 
Innanzitutto mi sarei aspettata un avanzamento della trama in una situazione alla "Io sono leggenda", o, perlomeno, è quello che mi sarebbe piaciuto. In una società così chiusa come quella del territorio di [paese che non ricordo], che pone se stessa al centro del proprio mondo, un contatto con una civiltà di mutanti che contasse almeno il quadruplo della loro popolazione in un territorio molto più grande dell'estensione di [paese che non ricordo] sarebbe stato l'ideale per osservare la reazione dei Normali. Dei moti? Delle rivolte? Rassegnazione, disperazione? Guerre? Coesistenza pacifica? Traditori? Quella dei Normali è una società che può sperare di risollevarsi in un nuovo splendore di tolleranza? O ci sarà bisogno di un ritorno agli spargimenti di sangue? E i reietti del confine, come avrebbero preso parte a tutto ciò? E cosa avrebbero fatto i telepatici? 
Materiale ce ne sarebbe stato tantissimo, anzi, c'è da segnarselo magari per degli spunti futuri, mi venisse mai  la voglia di scrivere una cagata post-apocalittica di mia mano. 
Invece il finale è liquidato in maniera fin troppo sbrigativa. La Zelandese salvatrice spara a tutti una sostanza vischiosa che intrappola e uccide i reietti del confine e i Normali, tutti riuniti in uno scontro imminente, risparmiando i protagonisti. 
Ma erano davvero tanto stupidi, i vecchi uomini, da non aver meritato nemmeno un tentativo di avvicinamento da parte della "nuova specie" telepatica? Seppure sia questo che voglia farci credere, sembra non ne sia convinto nemmeno l'autore, altrimenti non avrebbe inserito alcuni personaggi (Zia Harriet, Zio Axel, la famiglia di Sophie), che, pur essendo dei Normali, risultano essere abbastanza intelligenti da non essere affatto convinti dei precetti bigotti inculcati a forza nelle loro menti, e da non accettarli, talvolta con tragici risvolti (vedi il suicidio della Zia, disperata per aver concepito per la terza volta una bambina mutante, e che per la terza volta le verrà strappata dalle braccia).
I Nuovi Uomini Superiori, un po' troppo convinti di essere tali, e a mio parere (ma anche, a quanto pare, secondo quello del protagonista) un tantino gradassi, si rivela un po' troppo precipitosa nell'usare la violenza per essere una civiltà avanzata che non voglia incappare negli errori dei suoi predecessori. Certamente l'autore non esclude in maniera totale un futuro contatto degli Evoluti con i Normali, ma nemmeno fornisce troppe speranze. E dunque anche su questo tema gli sviluppi sarebbero potuti essere interessanti. L'ego dei Normali si sarebbe ridimensionato, e quello degli Evoluti, invece? Avrebbero sottomesso infine i Normali? Si sarebbero sentiti tanto superiori da cercare di soverchiarli e sfruttarli? E i Normali, nel tempo, come avrebbero reagito? Qui c'è materiale per costruirci un'intera saga...
In sostanza si tratta di un romanzo con spunti eccellenti, sensazionali, ma andati sprecati, specialmente nel finale. Sarebbe stato un terreno ottimo e fertile su cui gettare i semi di un romanzo forse straordinario.
Un gran peccato!


Morte dell'erba - John Christopher (alias Samuel Youd) (N.B. spoiler)

Se con i Trasfigurati ho potuto parlare di delusione, con Morte dell'erba posso parlare di un vero e proprio tradimento...
Data l'originale premessa di una calamità che ci colpisce in maniera un po' più indiretta, mi aspettavo scintille. In realtà è un romanzo perdibilissimo, che quasi nulla ha di fantascientifico se non lo spunto apocalittico (e allora anche La Strada dovrebbe essere fantascienza... ma non lo è). 
Classe 1956, non aggiunge nulla al panorama della letteratura apocalittica, non coinvolge stilisticamente né emotivamente; lo sviluppo è estremamente frettoloso, gli intenti palesemente didascalici. Tutto il libro è una parabola su ciò che l'autore si aspetterebbe dall'uomo durante una calamità: una veloce trasformazione della società, un rapido cambiamento dell'atteggiamento umano verso i suoi simili a causa della cattiveria della realtà, un annullamento totale del sentimento di pietà, considerato un mero fronzolo, relitto di un'epoca di benessere, un lusso da dimenticare. Questo "insegnamento" che traspare in modo fin troppo pacifico rende la narrazione pesante e fastidiosa, e rozzi gli eventi descritti. Tutti gli aspetti sociali sono trattati in maniera assai semplicistica, i cambiamenti sono inverosimilmente rapidi, i ragionamenti dei personaggi troppo lineari.
Manca totalmente l'approfondimento del panorama ecologico dopo il virus, in cui speravo.
Le vicende sono più o meno le seguenti: dopo un incipit bucolico in una valle che vive di agricoltura, ereditata dal fratello del protagonista, vediamo la disgrazia del virus profilarsi all'orizzonte. Dapprima colpisce la Cina e l'Oriente, poi l'Europa. In Inghilterra il Presidente sembra, in gran segreto, voler porre fine alle sofferenze della popolazione, non ancora nemmeno iniziate, sganciando bombe H e bombe atomiche sull'intera nazione (che assurdità! Un altro punto debole del libro), così, tanto per aggiungere un po' di radiazioni alla situazione ed allungare la lista degli alimenti immangiabili. La selezione naturale, e un po' di fattore C, avrebbe fatto il resto, dimezzando le bocche da sfamare e facendo quindi rimanere abbastanza cibo per tutti. Certo, certo.
Il protagonista ha una soffiata e decide di fuggire con la sua famiglia e quella di un amico verso la valle del fratello, che, furbacchione, aveva previsto la catastrofe e convertito le sue coltivazioni a patate. 
Nella sua marcia si accolla un po' di gente, per debolezza o per utilitarismo. Sorvolo sulle scene sessiste che si incontrano spesso nello sviluppo del romanzo... colei che istiga alla pietà è sempre la moglie; il marito guida stanco morto ma sembra che, nonostante una delle donne abbia la patente, il suo unico compito possa essere quello di chiacchierare tenendolo sveglio, peraltro con scarsi risultati... prendere il volante e dare il cambio no, eh? Occupata per una sera una casa, i baldi uomini in automatico si dirigono in perlustrazione, mentre altrettanto automatico è l'autoesilio delle donne in cucina a preparare la colazione, persino con il riflesso automatico di pulire i piatti sebbene non ce ne sia il minimo bisogno... Da far cadere le braccia. Sarà pure figlio del suo tempo, ma il romanzo di Wyndham, praticamente coetaneo (1955) conta una partecipazione delle donne molto più attiva e piacevole. 
Pian piano il protagonista diventa sempre più duro, attorno a lui in tempi infinitesimi (tre giorni?) si costituisce una società feudale, nessuno vomita alla vista di persone uccise dai loro stessi grilletti, anche se fino a l'altroieri gli omicidi erano dei tranquilli ingegneri abituati a scorazzare in automobile da un capo della città all'altra, e nulla di più. Nessuno attenta all'autorità del capo, il quale non esita a tradire ed uccidere il suo stesso fratello quando questo è costretto (poiché non è l'unico ad essere barricato nella valle) a lasciare fuori il gruppo del protagonista, pur offrendo ospitalità esclusiva alla sua famiglia. Questo è il finale del cavolo che ci ha preparato Youd, dieci caccolose righe in cui il novello Caino ha conquistato la terra di Abele facendo terra bruciata per la sua sopravvivenza e quella del gruppo di cui si sente responsabile (ma perché?! Erano insieme da soli due giorni!), impegnandosi a far fruttare ancora le terre della valle conquistata con il sangue. Inverosimilmente la moglie, paladina della pietà, gli dice "vabbè, scialla, hai ammazzato tuo fratello, adesso vediamo di andare avanti, la vita continua". 
Eh?
Oltre ad essere in disaccordo quasi totale con la visione di Youd, il libro non dice proprio nulla. Il tormento di una persona, la disperazione, lo sgomento... sono al di fuori della concezione dei personaggi di questo libro insulso. 
D'obbligo il paragone con La Strada, che forse nemmeno sussisterebbe, ma, se non altro, Morte dell'erba ha avuto il pregio di farmi apprezzare molto di più il libro di McCarthy, molto più efficace nel raccontare l'individualismo spietato e disperato necessario per la sopravvivenza in tali condizioni catastrofiche, in cui coesistono apparizioni di personaggi rassegnati, o animaleschi, o ancora terrorizzati, in cui l'uomo ha perso ogni certezza, è disposto a perdere ogni briciola di pietà ma, per contro, in cui ancora, assurdamente, la debole fiammella della speranza ha un alito di ossigeno per brillare... insomma c'è tutta la natura umana nel libro di McCarthy, che non mi aveva troppo colpita ma che ora ho invece rivalutato.
Bè, almeno a qualcosa il romanzo di Youd è stato utile.


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