sabato 8 giugno 2013

Despentes, puttane e femminismo: tre anni dopo

Perché quando lessi King Kong Girl, Virginie non mi disse nulla di nuovo, per quanto mi riguarda, ma il mio materiale mentale era ancora grezzo, aveva spigoli da limare, diversi particolari ancora da sistemare e definire. Un po' di lavoro, in questi tre anni, è stato fatto. 
Meno aderente al mio pensiero di allora è ciò che ho elaborato sul discorso della prostituta come lavoro scelto di propria volontà, all'epoca incentrato sulla virtuale "risposta" alla fantomatica Cristina, puttana di professione, brano estratto da un libro della De Gregorio contro cui (non proprio l'espressione esatta) mi infervorai con un livore che adesso mi fa sorridere.
http://appuntofralerighe.blogspot.it/2011/01/ripensamenti.html
Sono una mia vecchia amica, posso capire cosa mi spinse a percorrere certi sentieri e a scrivere determinate righe; capisco cosa mi spinse a non leggere oltre (o in realtà vi lessi, ma preferii voltarmi dall'altra parte) per poi cadere nella provocazione con tutte le scarpe. Alla fine colsi più o meno tutto. Ciò che mi fece paura era quel mondo che in Cristina cercava conforto e fuga dalla banalità, quel mondo che costruisce di sé un'immagine di austera perfezione nascondendo sotto il tappeto le proprie disfunzioni, anche trasversalmente alla classe sociale, trasversalmente al sesso, perché non sono solo gli uomini quelli che fan finta di non vedere ciò che non va nella propria vita, rifugiandosi altrove. Ecco di cosa avevo paura, e avevo ragione. Ne ho paura tuttora, ma il terrore che mi attanagliava all'epoca era quello di essere uno di quelli ingranaggi rotti di cui Cristina parla, e di cui si sente superiore, complice un certo grigiore che mi gravava sulle spalle quei tre anni fa, e complice anche questa "paura" delle nuove consapevolezze che forse pesa un po' su tutti gli esseri umani. Non solo paura del nuovo, nel mio caso, ma paura che un velo di Maia possa scostarsi dinanzi ai miei occhi e farmi cambiare la percezione delle cose, facendomi capire che la realtà non è ciò che sembra, che ciò che pensavo vero non lo è, che la verità mi è lontana, che non la raggiungerò mai.
Non volevo scadere nell'introspezione, sebbene il mio personale momento storico vi si presti, tuttavia la premessa era necessaria, visto che ora la provocazione la colgo, e non ci casco più. 

Per continuare a credere che è tutto a posto, va tutto bene, le puttane devono restare segrete, commiserate, compiante e ben pagate. Così la macchina funziona.

Ecco, servizi. Tutti servizi che si potrebbero tranquillamente dare come una linea telefonica dedicata, una spesa a domicilio.
Però no, bisogna che lo facciano le mogli, le fidanzate: è il loro ruolo sociale. Le puttane servono a coprire le disfunzioni del sistema: le mogli alcolizzate e depresse, quelle che non ti rivolgono la parola se non per dirti dove hai messo le chiavi della macchina, quelle che non si tingono i capelli perché non gliene frega niente di piacerti, quelle che dormono fino a mezzogiorno poi vanno a fare shopping, quelle che si ammazzano di lavoro fuori tutto il giorno e la sera non sono carine, no, e meno che mai si fanno legare.

Quelli che mi dicono “povera ragazza lo fai per bisogno lo fai perché c’è gente come me che ti costringe, avresti diritto a un lavoro normale” mi fanno proprio incazzare.

Ed ecco la chiave per capire la rivendicazione del testo: ritratti di donne e ritratti di ruoli sociali associati al femminino, non necessariamente aderenti alla donna nella realtà del suo quotidiano, ma a cui sforzarsi di assomigliare, per non deludere le aspettative di nessuno, ad iniziare dalle nostre. Aspettative da cui Cristina si è emancipata grazie ad una bellissima parola che ho imparato in questi anni, una parola grande, carica di senso di libertà e di responsabilità e di dovere, e di dignità: autodeterminazione, la facoltà di operare scelte secondo la propria volontà e quella di nessun altro.
La chiave è nell'eterno dualismo del proprio ritratto idealizzato con cui la donna ha sempre dovuto misurarsi: angelo del focolare, relegata ad una dimensione domestica, protettiva ma bisognosa di protezione, che accudisce ma che è anche un po' stupida, fuori dal mondo com'è. Depositaria di tutte le umane virtù, contrapposta con il demone seduttivo e destabilizzante, sensuale e maligno, consapevole della propria sessualità; la strega dei sabba, della belladonna, delle ordalie e delle torture, colei che è impura, che sanguina cinque giorni al mese, che non è ammessa nella sinagoga se non in un settore a parte, che deve coprire i capelli col velo e i malleoli con la sottana. E' anche qui che opera la disfunzione se, giustamente, nel nostro essere umane non riusciamo a venire a capo dell'antitesi.

Rileggendo ciò che ho scritto su Despentes, è in questo oscillare insensato e contraddittorio che si colloca quella che io intendevo come una "ossessione per la sessualità" nel ritratto tipo della "femmina ribelle", che non comprendevo.
Ciò che non capivo era come potesse sposarsi la rivendicazione ad esser tutte puttane ("siamo tutte puttane" è uno degli slogan simbolo degli Slut Walk) con, questa volta senza virgolette, l'ossessione per la femminile nudità ammiccante presentata, ad esempio, nella pubblicità, e criticata dalle stesse donne che rivendicano il puttaneggiare. Non sono atteggiamenti identici?
Osservando con occhi più attenti i due fenomeni, però, si notano delle profonde differenze. Quello che in effetti, in un'analisi che potremmo chiamare femminista, viene criticato non è il puttaneggiare, ma il presentare il corpo, sempre lo stesso modello di corpo, come costruito in serie in una catena di montaggio, ad uso e consumo di un maschio sbavante, reiteratamente, senza proporre alternative ad una scenetta che diventa stereotipo, in cui la donna non è parte attiva, ma protagonista di teatrini in cui il ruolo sociale di sottomissione tradizionalmente attribuito alla femmina diviene il principe. Il puttaneggiare, la nudità femminile, il mostrarsi delle pubblicità sottolinea e rafforza il messaggio: "ecco qual è il tuo posto, ragazza; ecco come devi essere, ecco cosa devi fare: adeguati".
Ben diverso è il puttaneggiare di Cristina, che si incazza con chi la commisera, e fa bene, perché non rende giustizia ad un passo compiuto maturando una sua personale scelta. Le puttane non sono angeli del focolare mancati, non sono tutte povere donne sfruttate -immagine che ancora una volta riporta alla femmina vittimizzata, alla poveraccia da accudire, bisognosa di cure ed attenzioni- buttate in una strada contro la propria volontà (ecco ancora l'elemento di passività) e strappate al sogno di una casetta in cui spazzare e una nidiata di bambini a cui preparare la pappa, o magari, in una versione più moderna, strappate al sogno di un lavoro serio ed "onorevole".
Ce ne saranno, di puttane così, di donne che sognano questo, e mica fanno male; lungi da me nascondere fra le righe un giudizio morale "al contrario", avendo la presunzione di pensare che ogni donna, dentro di sé, nasconda il desiderio di battere su strada almeno una volta nella vita. Ma se a sentir parlare di una prostituta il tuo primo pensiero è di pietà o commiserazione, beh, stai decisamente sbagliando approccio, visto che è il caso di chiarire che si può non aver bisogno né dell'una né dell'altra, che potrebbe essere una scelta consapevole,  che ognuna si vive la propria sessualità come meglio crede; che ogni donna non è né angelo né diavolo, non è latrice di altissime virtù né apristrada verso un mondo di peccato e perdizione, non sugge sperma e non offre mele, e questa roba lasciamola ai miti di oltre tremila anni fa, o alle rappresentazione macchiettistiche di una certa letteratura (per carità, non sto denigrando né Dante né Tarchetti, ma fermiamoci un attimo a pensare che sono ritratti di donne tratteggiate da uomini, e a quanto la letteratura sia piena di questi ritratti e povera di caratterizzazioni di donne raccontate dalle donne stesse, e ancora a quanto questi ritratti potrebbero cambiare se visti con occhio femminile). Ogni donna è solo una donna, una persona, un essere umano, e basta (e ti pare poco).
In conclusione, fra le righe non era sottinteso un reale giudizio di merito verso chi sceglie di intraprendere una certa carriera rispetto ad un'altra, tuttavia ora riesco a carpire lo spessore di chi sceglie di abbattere il muro del ruolo sociale preconfezionato, dell'ordine naturale delle cose che "così devono essere", ma per quale volontà? Ho affermato che "le puttane per scelta mi fanno un po' schifo", rivendicando la mia libertà a provare disgusto. Non ho ancora capito il perché di questo schifo, ma mi sento orgogliosa di aver superato quello che a tutt'oggi considero un mio vecchio limite. Residuati bellici di un'educazione cattolica, o avvenuta per mano di persone con impostazione cattolica? Schizofrenia innata del contesto sociale in cui vivo nei confronti del corpo delle donne? Lo "schifo", perché? Perché la sessualità è per forza un atto che va accompagnato ad alti valori, sennò è troppo "sporco"? Che differenza fa lavorare con la vagina, con le mani, con la mente, è davvero così diverso? E se la risposta è "beh, sì", su quali basi arriva questo sì? Sulla base di uno status quo, perché che male fa ad una seconda persona la scelta di qualcuno di lavorare con il proprio corpo?
Non lo so, qual è il perché di quello schifo. Ma non importa. Ciò che mi importa è che io abbia imparato un'altra sfumatura della parola "autodeterminazione": perché lo schifo che io sono libera di provare nei confronti di una prostituta non può censurare la sessualità di nessun altro, non può essere il pretesto di una condanna morale. Il sesso in vendita non è un affronto alla dignità delle donne, perché questa non si basa sul modo in cui ognuna -e ognuno, perché il discorso è valido anche per gli uomini- decide di vivere la propria sessualità e vendere le proprie prestazioni. La sessualità di ognuno è variegata, e multiforme, e quella degli altri non è la mia.



lunedì 26 novembre 2012

Mi rileggo...

...e mi dico "ma non è possibile, ho lasciato troppi discorsi a metà!". Sia sul blog che librescamente parlando.  E' vero, l'incompiutezza è un po' un mio marchio, però voglio crederci, che si possa guarire, e oggi un paio di lacune bloggistiche mi ci metto e voglio colmarle. 
Iniziamo innanzitutto da lui:

Un cantico per Leibowitz
cui avevo già accennato. Fra i romanzi post-apocalittici del percorso a tema, mi ha colpita molto in positivo. Uno dei migliori, anche da rileggere. Si tratta, mi sembra di averlo già scritto, di tre racconti lunghi in sequenza temporale distanziati fra loro di diversi secoli. 
Nel primo il protagonista è un giovane novizio che, nel suo duro esilio di penitenza, preparatorio per diventare monaco, scopre -per caso?- l'entrata di uno di quei vecchi rifugi antiatomici, costruiti per proteggersi dal terribile Diluvio di Fiamma. Non sarà, forse, il rifugio dell'ingegner Leibowitz, beato in attesa di canonizzazione?
Il gran merito di Leibowitz, a cui l'ordine del monastero attorno il quale è incentrato il romanzo è devoto, è stato quello di difendere, a costo della sua stessa vita, il patrimonio culturale dell'umanità, nascondendo libri, accantonando scritti, sollevando con coraggio una strenua opposizione contro la barbarie della Grande Semplificazione. Un olocausto di sapere, con pire di libri e di coloro che si offrivano di salvarli, poiché ritenuti loro, il progresso e la conoscenza, i responsabili della catastrofe che per poco non annientò l'umanità.
Leibowitz fonda l'ordine Albertiniano di Ricercatori e Memorizzatori di Libri, che dunque per secoli, con dedizione e sacrificio, e pazienza certosina (è il caso di dirlo), ha copiato, miniato e rinnovato il sapere di un tempo, perdendo però di vista il suo significato, poiché nessuno è ormai in grado di decifrare formule, scritti, diagrammi. 
Durante i brevi romanzi l'umanità ripercorre strade familiari, dai secoli bui alla timida aurora di una nuova conoscenza tecnica, terminando in una società in cui uomini e mutanti convivono, e la scienza, rinata laica  ma grazie agli sforzi dei devoti Albertiniani, è ormai pienamente sbocciata, ridando i suoi frutti: elaboratori, energia elettrica, automobili e... guerra nucleare.
Un romanzo complesso, in cui temi sempre attuali si incontrano, tra cui l'annoso dialogo dal Galileo di Brecht che anni fa già accennavo ma che qui ancora si ripropone:

Non credo che la scienza possa proporsi altro scopo che quello di alleviare la fatica dell'esistenza umana. Se gli uomini di scienza non reagiscono all'intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà che fonte di nuovi triboli per l'uomo. E quando, coll'andar del tempo, avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro progresso non sarà che un progressivo allontanamento dall'umanità. 

Può la scienza porsi dei limiti morali? A mio avviso no, una scoperta scientifica è praticamente per definizione qualcosa di assolutamente neutro, il cui pratico utilizzo potrà apportare (il più delle volte) benefici che che uguaglino le potenziali applicazioni negative, poste entrambe sui piatti di una bilancia. Ma come evitare di trasformarsi nella progenie di gnomi inventivi? Come non asservirsi e non piegarsi all'intimidazione dei potenti egoisti?
Insomma, un libro che con la scusa dell'apocalisse nucleare ci parla di religione, filosofia, riflessione storica, specie nei dialoghi fra il Thon Taddeo, rappresentante di una rivendicazione della conoscenza laica, libera, condivisa, e l'Abate Dom Paulo, impossibile da riassumere in poche righe. Molto raffinato.
Da comprare in cartaceo e aggiungere ai Memorabilia!

Un commento meno raffinato richiederebbe che dicessi che è davvero un libro coi controcoglioni, al contrario di quei due che ho letto dopo e che ho già citato (dai, poverino, quello di Wyndam non era così brutto, solo... un po' grezzo, ecco), e Addio Babilonia, che all'inizio pensavo mi risollevasse la media di queste ultime letture tematiche, e invece ha ancora deluso le mie speranze. Il mio anobiiano commento è abbastanza esaustivo, ed essendo un libro che non merita più di tante righe, né di essere ricordato se non per il fatto che è abbastanza insulso (per non rileggerlo, insomma), non aggiungerò altro.

Si lascia leggere, se non altro perché mostra le strategie di sopravvivenza in una comunità in grado di arrangiarsi giorno per giorno e sopravvivere alla catastrofe che ha colpito il loro paese. Uno sguardo un po' più ottimista, insomma, non solo sul durante, ma anche sull'immediato dopobomba, che in altri libri di questo filone mi sembra di non aver trovato. I suoi personaggi, che, è vero, sono stati abbastanza fortunati a trovarsi a vivere in una zona quasi incontaminata, non si sono lasciati trascinare dalla barbarie di un mondo alla deriva, cercando di mantenere intatti i residui della loro "civiltà", della fiducia e dell'aiuto reciproci, dando valore alla cooperazione ed anzi aggrappandovisi come ancora di salvezza. Però diamine. Dai in mano un fucile a un ragazzino di 10 anni, intanto una ragazzina di 11 ti pesca persici grossi quanto un braccio e lasci che venga sculacciata, spedita in camera sua e fai in modo che non le venga più permesso di toccare la barca. Intanto il persico però te lo sbafi. Le uscite sessiste sono mica poche ("sei una buona proprietà", dice Randy alla futura moglie O.O era ironia da due soldi, voglio sperare)... Ma muori gonfio! I libri così mi hanno veramente scocciata, e non mi interessa che fossero scritti negli anni '50, che siano specchi della società e blablabla, se uno vuole fare il salto di qualità lo fa, a prescindere dalle idiozie che gli vengono propinate intorno. Come mi ha scocciato il patriottismo americano. E basta! Non saprei valutarlo, non è un libro brutto ma nemmeno bello (con una punta di malvagità oserei definirlo un po' insulso), boh. 
Voto finale: scrollata di spalle e faccia poco convinta. 

Di altre cose che ho lasciato sospese:
Cantico per Leibowitz a parte. Comincio dal principio, ovvero dai lontanissimi inizi del blog.

2009 A parte il libro di Emily the Strange, non ho letto più niente di quello che mi ero appuntata, eccezion fatta per Razza Padana che è stato abbastanza formativo. Medea, Cassandra, storia dell'arte giapponese... un par de palle, ecco.  Consideriamoli discorsi chiusi, o meglio, archiviati in maniera indeterminata. Vabbè, però stanno là, quando voglio me li prendo, giusto? Giusto. 

2010 Sulle cose religiose, sull'Islam e tutto il resto: seee, ce stavi a crede, vero? Niet. 
Ma su, ma che ci frega di una cosa, chiamasi religione, che è sempre solo servita a far ammazzare gente? 
Valore antropologico, sì è vero è interessante, a parte tutto, appunto perché è così legata coi sistemi di potere, però il discorso è troppo complicato e va preso proprio da dietro. I Sufi manco a parlarne...ma se già nel Cantico, nei pezzi più filosofici stringevo gli occhi, "aspetta, che stai a dì? Fammi rileggere" x4, x5 volte. Mi stai dicendo che, sul serio, hai pensato di leggerti un libro sui dotti mistici islamici? 
Ok, l'hai fatto, ok, ancora ti alletta l'idea, ma poi vediamo, ok? Poi non dire che non ti avevo avvertita. Timbro: archiviato indeterminato.
Intanto però in una bancarella (anni fa) ho comprato una monografia sugli Assassini che non è male e quella invece me la voglio leggere davvero. Prima o poi (timbro AI, ma un po' più determinato)
Sarebbe da scrivere un'apologia di Dawkins che qui non ho neppure nominato, ma ho conosciuto leggendo "L'illusione di Dio" e ha risvegliato il mio orgoglio ateo. Però se rileggo quel libro mi avveleno con la cretinaggine di certi suoi oppositori (creazionisti in special modo, e tutta quella gentaglia assimilabile a quei minchioni del Popolo della Vita qui in Italia, da far accapponare la pelle), ragion per cui non lo farò.
Incredibile, ho persino letto alcuni titoli che mi autoproponevo qui, questo non me lo aspettavo. I popoli Arabi non l'ho letto, Chomsky ci ho provato ma sono una sega e poi ho smesso, quello di Gallino sì, Deus Irae sì.
[Nota: per i libri di casa nel mio scaffale personale, il timbro AI va inteso in maniera un po' meno nebulosa di quelli che non sono a casa, nel senso che probabilmente nei prossimi 5 anni quei libri verranno letti, mentre quelli di biblioteca probabilmente *ehr* non verranno letti mai]
Postpunk delle biblioteca non riesco a leggerlo (vai a capire perché), in inglese nemmeno (il perché invece qui è piuttosto ovvio), Vonnegut sì, tutto il resto proprio no. *Timbro Archiviati Indeterminati*
Di questi non ne ho letto nemmeno uno (lol - *timbro AI*) a parte quelli di Steinbeck di cui il primo è gradevole come tutti i suoi che ho letto; il secondo, Uomini è Topi, è un CAPOLAVORO di incommensurabile lirismo. Ho visto gente su Anobii, persino con ottime librerie, affibbiargli una o due stelline... ma dico, ma ce l'avete un cuore, voi?!?!  Sciocchi insensibili!

Fumetti: mah, ho provato un sacco di porcate. Belli Kuragehime e Sei il mio cucciolo! (nonostante il titolo), a parer mio un po' somiglianti, se non nella trama, almeno in qualche modo nell'intreccio amoroso. C'è qualcosa che li accomuna, ecco. Ne parlerò a parte (oh no, sto lasciando cose in sospeso! Ancora! Non finirà mai). Facciamo che sui fumetti ci faccio un post a parte che sennò metto troppa carne al fuoco -maddai?- .

Pirati: si ricomincia nel 2013 con la sfida piratesca! Ahrr!

Omeopatia, cazzate scientifiche e debunking: lasciamo perdere, va. Ho letto un bel libro sul tema e merita una scheduccia a parte. Carne al fuoco.

2011 Le femmine: credo di non avere più nulla da dire, a parte la parentesi sugli anni 50.

La conclusione di tutto questo è che i libri fanno scorrere il tempo troppo in fretta.







domenica 18 novembre 2012

"Ci si batte, quindi una guerra deve esserci"



  "Foxe, con la e vedo, come quello del Libro dei Martiri," aggiunse.
  "Sissignore," disse Tristram.
  "Bene," disse il tenente colonnello Williams, "c'è questo problema dei limiti delle sue competenze in qualità di sergente istruttore."
  "Sissignore."
  "I suoi compiti mi sembra che siano abbastanza chiari. Stando a quanto riferisce il commissario Bartlett, lei li ha eseguiti in modo adeguato. Per esempio, lei ha svolto un buon lavoro nella classe degli analfabeti. Per di più ha insegnato matematica elementare, la stesura dei rapporti, l'uso del telefono, geografia militare e problemi correnti."
  "Sissignore."
  "E sono stati questi problemi correnti a causare il problema. Esatto, Willoughby?" Gettò un'occhiata al suo aiutante che, occupato a scaccolarsi, sospese lo scaccolamento e assentì premuroso. "Dunque, vediamo. Sembra che lei abbia fatto certe discussioni con gli uomini: roba del genere Chi È il Nemico? e Perché Combattiamo? Lei questo lo ammette, credo."
  "Certo, signore. Secondo me, gli uomini hanno perfettamente il diritto di discutere sul perché sono nell'esercito e che cosa..."
   "Un soldato," lo interruppe con tono stanco il tenente colonnello Williams, "non ha diritto ad avere delle opinioni. Giusto o sbagliato, così è stato deciso. Giusto, ritengo, visto che è stato deciso."
   "Ma, signore," riprese Tristram, "di certo dobbiamo sapere in che cosa siamo coinvolti. Ci è stato detto che è in corso una guerra. Alcuni tra gli uomini, signore, si rifiutano di crederlo. Sono propenso ad essere d'accordo con loro, signore."
   "Davvero?" disse freddamente il tenente colonnello Williams. "Bene, lasci che la illumini, Foxe. Ci si batte, quindi una guerra dev'esserci. Forse non è una guerra nel senso tradizionale, ma guerra e combattimenti dovrei ritenere che siano praticamente sinonimi, in senso organizzativo, in rapporto all'impiego di eserciti."
  "Ma, signore..."
  "Non ho finito, Foxe, le pare? Per quanto riguarda i due problemi del chi e del perché, questo non è affare che riguardi i soldati, e questo deve accettarlo senza discussioni. Il nemico è il nemico. Il nemico è il popolo contro cui combattiamo. Dobbiamo lasciare ai nostri governanti la decisione sulla scelta di questo popolo. Non è niente che riguardi lei o me o il soldato Tizio o il caporale Caio. È ben chiaro?"
  "Ma, signore..."
 "Perché combattiamo? Combattiamo perché siamo soldati. È piuttosto semplice, no? Per quale causa combattiamo? Semplice anche questo. Combattiamo per difendere il nostro paese, e, in senso più ampio, per proteggere l'intera Unione Anglofona. Da chi? Non ci riguarda. Dove? Dovunque ci mandino. Adesso, Foxe, confido che tutto ciò sia perfettamente chiaro."
  "Be', signore, quello che io..."
 "È molto sbagliato, da parte sua, Foxe, turbare gli uomini portandoli a pensare e a fare in modo che pongano delle domande". Esaminò il foglio che aveva davanti, mugolando. "È molto interessato, Foxe, ci scommetto, in ciò che riguarda il nemico, i combattimenti, e così via, vero?"
  "Be', signore, secondo me..."
 "Le daremo l'opportunità di un contatto più stretto. Buona idea, Willoughby? Lei approva, sergente maggiore? Caro Foxe, la dispenso dai suoi doveri di istruttore a partire da oggi, ore 12. Dalla compagnia del QG sarà trasferito a una compagnia di fucilieri. Mi sembra che sia la compagnia B, vero Willoughby?, ad aver bisogno di un sergente di plotone. Bene, Foxe. Penso che le farà un monte di bene, giovanotto."
  "Ma, signore..."
  "Saluto!"


Anthony Burgess, Il seme inquieto (The wanting seed , 1962) - traduzione di V. De Carlo

mercoledì 14 novembre 2012

Aggiornamenti


Il regno del sangue
La peste scarlatta
Tenebre
Un cantico per Leibowitz
I trasfigurati
Io sono leggenda
Il lungo silenzio
Cecità
Il seme inquieto
Morte dell'erba
Addio Babilonia  in lettura

La fortezza di Farnham n.p.
L'esercito delle 12 scimmie n.p.

Sicuri ne mancano quattro, considerando gli incerti sei. In un mese sei libri posso leggerli, anche se a dire il vero un po' mi sono stancata del filone (infatti intanto mi sono sparata un noir da paura che mi ha lasciata ancora in hangover). Certo Tenebre ha 600 pagine, ma anche se sforassimo nel 2013 chi se ne frega?

Sob cerchiamo di finire nel 2012 però, che poi è una profusione di sfide che non ce la farò mai...

mercoledì 31 ottobre 2012

La sfida continua, nonostante tutto

Il bilancio è, per adesso, di 10 libri letti più uno in lettura. I piani, come sempre, sono leggermente cambiati rispetto alla lista stilata diversi giorni fa, ma sono i libri che mi chiedono di sceglierli e di leggerli quando loro lo desiderano, ed io li lascio fare.
Il percorso non è dei più semplici, se non altro perché sto incassando numerose delusioni, soprattutto -a sorpresa- proprio dal "reparto fantascienza" della lista. 
Ma andiamo con ordine. Dopo la terribile esperienza del libro precedente, ho cercato ventate di freschezza con Un cantico per Leibowitz, che rimando a più tardi. Successivamente sono passata a:

I Trasfigurati - John Wyndham (N.B. spoiler)

Non malissimo, ma, tirando le somme, lo considero una delusione. Non so se il fatto che l'abbia trovato molto stringato sia da imputare alle pessime scelte editoriali Urania di sforbiciare qua e là nei romanzi, con scarso rispetto per i lettori, per l'autore e  per l'opera, oppure al libro stesso. 
L'incipit lasciava ben sperare. Siamo a diversi secoli di distanza da una catastrofe nucleare che distrusse un'epoca intera, i cui unici relitti sono i precetti della Bibbia, quelli di secondo testo sacro e, infine, le mutazioni che continuano a colpire uomini, piante ed animali. Non che queste ultime siano ben accette: i precetti affermano, infatti, che la Norma debba essere preservata ad ogni costo, sia pure quello di distruggere raccolti, uccidere le bestie e privare di ogni tipo di futuro i mutanti umani. 
Ogni deviazione dalla Norma sgomenta e inorridisce i tranquilli cittadini di [inserire città americana che non ricordo] . Ma cosa succederebbe se le mutazioni non fossero più fisiche, ma mentali, e dunque invisibili? Se i mutanti si nascondessero dietro ogni persona comune, celandosi dietro l'apparenza di una Norma? Il protagonista è costretto a non rivelare il suo segreto, combattendo ogni giorno contro il bigottismo estremo della sua società e della sua famiglia in primis ("GUARDATI DAL MUTANTE!" gli ricorda ogni giorno il quadro appeso nella grande cucina della sua abitazione), nonostante la sua abilità, e quella dei suoi simili, rappresenti uno straordinario passo avanti nella comunicazione degli esseri umani. Il loro contatto avviene mediante una sorta di telepatia, quelle che l'autore definisce "forme pensate", scambiate anche a distanza, senza necessità di alcun contatto visivo o sonoro, abilità che accresce l'empatia e la sensibilità dei suoi fortunati possessori. 
Ben presto, però, i nostri vengono scoperti, cacciati, perseguitati. Sono costretti a rifugiarsi nelle frontiere, ove, esuli, vivono i mutanti reietti cacciati dal territorio dei Normali. Tutto sembra andare per il peggio, quando dei provvidenziali stranieri provenienti dalla Zelanda riescono a contattare telepaticamente i protagonisti e a trarli in salvo, liberandoli dalla condizione di emarginati e "diversi" e portandoli con loro in una società progredita in cui l'uomo, un nuovo tipo di uomo, ha ormai preso pieno possesso della sua nuova grandiosa facoltà.
Detta così la trama è molto intrigante. I personaggi si muovono bene nelle situazioni, sono abbastanza vivi e sono verosimili dialoghi e rapporti. L'idea di un contatto estremamente intimo tra le menti, impensabile per chi non possegga il dono della telepatia, è molto affascinante. Forse però non sono d'accordo con lo sviluppo del finale. 
Innanzitutto mi sarei aspettata un avanzamento della trama in una situazione alla "Io sono leggenda", o, perlomeno, è quello che mi sarebbe piaciuto. In una società così chiusa come quella del territorio di [paese che non ricordo], che pone se stessa al centro del proprio mondo, un contatto con una civiltà di mutanti che contasse almeno il quadruplo della loro popolazione in un territorio molto più grande dell'estensione di [paese che non ricordo] sarebbe stato l'ideale per osservare la reazione dei Normali. Dei moti? Delle rivolte? Rassegnazione, disperazione? Guerre? Coesistenza pacifica? Traditori? Quella dei Normali è una società che può sperare di risollevarsi in un nuovo splendore di tolleranza? O ci sarà bisogno di un ritorno agli spargimenti di sangue? E i reietti del confine, come avrebbero preso parte a tutto ciò? E cosa avrebbero fatto i telepatici? 
Materiale ce ne sarebbe stato tantissimo, anzi, c'è da segnarselo magari per degli spunti futuri, mi venisse mai  la voglia di scrivere una cagata post-apocalittica di mia mano. 
Invece il finale è liquidato in maniera fin troppo sbrigativa. La Zelandese salvatrice spara a tutti una sostanza vischiosa che intrappola e uccide i reietti del confine e i Normali, tutti riuniti in uno scontro imminente, risparmiando i protagonisti. 
Ma erano davvero tanto stupidi, i vecchi uomini, da non aver meritato nemmeno un tentativo di avvicinamento da parte della "nuova specie" telepatica? Seppure sia questo che voglia farci credere, sembra non ne sia convinto nemmeno l'autore, altrimenti non avrebbe inserito alcuni personaggi (Zia Harriet, Zio Axel, la famiglia di Sophie), che, pur essendo dei Normali, risultano essere abbastanza intelligenti da non essere affatto convinti dei precetti bigotti inculcati a forza nelle loro menti, e da non accettarli, talvolta con tragici risvolti (vedi il suicidio della Zia, disperata per aver concepito per la terza volta una bambina mutante, e che per la terza volta le verrà strappata dalle braccia).
I Nuovi Uomini Superiori, un po' troppo convinti di essere tali, e a mio parere (ma anche, a quanto pare, secondo quello del protagonista) un tantino gradassi, si rivela un po' troppo precipitosa nell'usare la violenza per essere una civiltà avanzata che non voglia incappare negli errori dei suoi predecessori. Certamente l'autore non esclude in maniera totale un futuro contatto degli Evoluti con i Normali, ma nemmeno fornisce troppe speranze. E dunque anche su questo tema gli sviluppi sarebbero potuti essere interessanti. L'ego dei Normali si sarebbe ridimensionato, e quello degli Evoluti, invece? Avrebbero sottomesso infine i Normali? Si sarebbero sentiti tanto superiori da cercare di soverchiarli e sfruttarli? E i Normali, nel tempo, come avrebbero reagito? Qui c'è materiale per costruirci un'intera saga...
In sostanza si tratta di un romanzo con spunti eccellenti, sensazionali, ma andati sprecati, specialmente nel finale. Sarebbe stato un terreno ottimo e fertile su cui gettare i semi di un romanzo forse straordinario.
Un gran peccato!


Morte dell'erba - John Christopher (alias Samuel Youd) (N.B. spoiler)

Se con i Trasfigurati ho potuto parlare di delusione, con Morte dell'erba posso parlare di un vero e proprio tradimento...
Data l'originale premessa di una calamità che ci colpisce in maniera un po' più indiretta, mi aspettavo scintille. In realtà è un romanzo perdibilissimo, che quasi nulla ha di fantascientifico se non lo spunto apocalittico (e allora anche La Strada dovrebbe essere fantascienza... ma non lo è). 
Classe 1956, non aggiunge nulla al panorama della letteratura apocalittica, non coinvolge stilisticamente né emotivamente; lo sviluppo è estremamente frettoloso, gli intenti palesemente didascalici. Tutto il libro è una parabola su ciò che l'autore si aspetterebbe dall'uomo durante una calamità: una veloce trasformazione della società, un rapido cambiamento dell'atteggiamento umano verso i suoi simili a causa della cattiveria della realtà, un annullamento totale del sentimento di pietà, considerato un mero fronzolo, relitto di un'epoca di benessere, un lusso da dimenticare. Questo "insegnamento" che traspare in modo fin troppo pacifico rende la narrazione pesante e fastidiosa, e rozzi gli eventi descritti. Tutti gli aspetti sociali sono trattati in maniera assai semplicistica, i cambiamenti sono inverosimilmente rapidi, i ragionamenti dei personaggi troppo lineari.
Manca totalmente l'approfondimento del panorama ecologico dopo il virus, in cui speravo.
Le vicende sono più o meno le seguenti: dopo un incipit bucolico in una valle che vive di agricoltura, ereditata dal fratello del protagonista, vediamo la disgrazia del virus profilarsi all'orizzonte. Dapprima colpisce la Cina e l'Oriente, poi l'Europa. In Inghilterra il Presidente sembra, in gran segreto, voler porre fine alle sofferenze della popolazione, non ancora nemmeno iniziate, sganciando bombe H e bombe atomiche sull'intera nazione (che assurdità! Un altro punto debole del libro), così, tanto per aggiungere un po' di radiazioni alla situazione ed allungare la lista degli alimenti immangiabili. La selezione naturale, e un po' di fattore C, avrebbe fatto il resto, dimezzando le bocche da sfamare e facendo quindi rimanere abbastanza cibo per tutti. Certo, certo.
Il protagonista ha una soffiata e decide di fuggire con la sua famiglia e quella di un amico verso la valle del fratello, che, furbacchione, aveva previsto la catastrofe e convertito le sue coltivazioni a patate. 
Nella sua marcia si accolla un po' di gente, per debolezza o per utilitarismo. Sorvolo sulle scene sessiste che si incontrano spesso nello sviluppo del romanzo... colei che istiga alla pietà è sempre la moglie; il marito guida stanco morto ma sembra che, nonostante una delle donne abbia la patente, il suo unico compito possa essere quello di chiacchierare tenendolo sveglio, peraltro con scarsi risultati... prendere il volante e dare il cambio no, eh? Occupata per una sera una casa, i baldi uomini in automatico si dirigono in perlustrazione, mentre altrettanto automatico è l'autoesilio delle donne in cucina a preparare la colazione, persino con il riflesso automatico di pulire i piatti sebbene non ce ne sia il minimo bisogno... Da far cadere le braccia. Sarà pure figlio del suo tempo, ma il romanzo di Wyndham, praticamente coetaneo (1955) conta una partecipazione delle donne molto più attiva e piacevole. 
Pian piano il protagonista diventa sempre più duro, attorno a lui in tempi infinitesimi (tre giorni?) si costituisce una società feudale, nessuno vomita alla vista di persone uccise dai loro stessi grilletti, anche se fino a l'altroieri gli omicidi erano dei tranquilli ingegneri abituati a scorazzare in automobile da un capo della città all'altra, e nulla di più. Nessuno attenta all'autorità del capo, il quale non esita a tradire ed uccidere il suo stesso fratello quando questo è costretto (poiché non è l'unico ad essere barricato nella valle) a lasciare fuori il gruppo del protagonista, pur offrendo ospitalità esclusiva alla sua famiglia. Questo è il finale del cavolo che ci ha preparato Youd, dieci caccolose righe in cui il novello Caino ha conquistato la terra di Abele facendo terra bruciata per la sua sopravvivenza e quella del gruppo di cui si sente responsabile (ma perché?! Erano insieme da soli due giorni!), impegnandosi a far fruttare ancora le terre della valle conquistata con il sangue. Inverosimilmente la moglie, paladina della pietà, gli dice "vabbè, scialla, hai ammazzato tuo fratello, adesso vediamo di andare avanti, la vita continua". 
Eh?
Oltre ad essere in disaccordo quasi totale con la visione di Youd, il libro non dice proprio nulla. Il tormento di una persona, la disperazione, lo sgomento... sono al di fuori della concezione dei personaggi di questo libro insulso. 
D'obbligo il paragone con La Strada, che forse nemmeno sussisterebbe, ma, se non altro, Morte dell'erba ha avuto il pregio di farmi apprezzare molto di più il libro di McCarthy, molto più efficace nel raccontare l'individualismo spietato e disperato necessario per la sopravvivenza in tali condizioni catastrofiche, in cui coesistono apparizioni di personaggi rassegnati, o animaleschi, o ancora terrorizzati, in cui l'uomo ha perso ogni certezza, è disposto a perdere ogni briciola di pietà ma, per contro, in cui ancora, assurdamente, la debole fiammella della speranza ha un alito di ossigeno per brillare... insomma c'è tutta la natura umana nel libro di McCarthy, che non mi aveva troppo colpita ma che ora ho invece rivalutato.
Bè, almeno a qualcosa il romanzo di Youd è stato utile.


mercoledì 17 ottobre 2012

Non aprite questo libro!

Come si desumeva da uno degli ultimi post a tema sfida post-apocalittica, abbandonare l'universo de L'Ombra dello Scorpione non è stata impresa facile. Mi sono concessa l'intermezzo del "racconto lungo" di Jack London per poi passare ad altre 567 pagine di romanzo contemporaneo, che non mi aspettavo di certo eccelso, ma nemmeno così deplorevole.




Errore.
Che libro brutto... ma così brutto! Se non altro sono felice di essermelo tolto dai piedi per proseguire con letture che, a naso, sembrino degne di questo nome. Spero di non incappare mai più in un'opera simile.
Innanzitutto le prime 200-300 pagine. Il protagonista è un idiota patentato di nome Rick Kennedy, diciannove anni, come non si stanca mai di rimarcare nella narrazione in prima persona, stile diario. Sei giovane, sei moderno, ma ciò non ti autorizza a rendere ogni maledetta pagina una sterile sequela di:
Cristo
Gesù Cristo
Cielo
Santo cielo
Dio onnipotente
Dio
sempre in quegli incisi fastidiosissimi che sollevano un'indicibile voglia di imprecare molto più pesantemente di lui. Dopo le 300 pagine queste interiezioni tendono a scemare, ma ti accompagnano comunque fedelmente fino alla fine del libro. 
I dialoghi, complici questi benedetti incisi - ma non solo- sono a tratti imbarazzanti. Non saprei descriverlo se non con un paragone cinematografico: si ha presente ciò che si intende con povera sceneggiatura? Qualcosa di simile: di una banalità inaudita, con protagonisti che sembrano figurine panini, oltretutto tagliate male, personaggi macchiettistici con ruoli definiti dal primo rigo di descrizione. Già alla loro presentazione carpisci il loro destino, sai esattamente cosa faranno, come finiranno, che diranno. Soprattutto se hanno più di 20 anni di età, allora il loro destino è segnato: crepano, e crepano male, a quanto pare nel mondo nuovo di Clark non c'è spazio per un'età che non sia gioventù... Ai ragazzi, anzi, in particolare ALLE ragazze, sarà però risparmiato (per lo più) il fato crudele che l'autore riserva a chi supera la quarantina. Anche molte situazioni sono di una banalità disarmante, e si capisce lontano un miglio dove vogliano andare a parare.
In breve, questo baldo e vigoroso giovane che è protagonista, ad una festa in cui reincontra, dopo un certo tempo, l'altro baldo giovane che è il fratello Stephen, sparisce con una momentanea amnesia dopo aver soccorso un poveraccio amico loro, ferito e farneticante. Dopo un po' si sveglia che tutta Leeds si è accampata in tutto il suo giardino per via di un gas velenoso che ha invaso la città. Dopo un altro po' capisce che il mondo è allo sbando perché, almeno in quella zona, il pianeta si è surriscaldato, la crosta terrestre si è assottigliata e l'attività vulcanica, in tutte le sue manifestazioni, ha cominciato a minacciare i dintorni della sua città. Londra intanto è stata investita da uno tsunami di proporzioni gigantesche e ne è rimasta quasi totalmente sommersa.
Molti crepano, passa il tempo, qualche mese, e si costituisce una piccola comunità. Il nostro protagonista si fa una nuova amichetta, nel senso latino del termine: il milfone della situazione, che nemmeno ricordo come si chiama. Poi questa crepa, e se ne crea un'altra, Kate, che aveva puntato già ai tempi della festa. Intanto sentenzia a proposito di fantomatici uomini grigi malvagi e con gli occhi rossi, a cui potrebbe essere ricondotta l'origine di tutto il macello. All'inizio nessuno gli crede ma poi iniziano a vederli tutti, che ammazzano gente, torturano persone, e altre amenità.
Dopo 300 pagine di agonia, i nostri stanno per essere uccisi da una tribù, ma vengono risparmiati grazie all'intervento di un personaggio di nome Jesus, l'unico a riuscire a destare un vago interesse nel lettore in un primo tempo, il quale si dissipa totalmente e senza speranza negli eventi successivi e soprattutto del finale, dove diventa una maschera, una caricatura, il cattivone che inverosimilmente non schiatta mai e deve tormentare fino all'ultimo gli altri personaggi, e il lettore, aggiungerei, in situazioni trite e ritrite e patetiche: viene bruciato vivo e non muore, anzi raggiunge i suoi rivali; i rivali lo fanno fesso e casca da una balaustra, ma si rialza in piedi e, prima di morire gonfio, dà prova di quanto il suo ego cattivone fosse spropositato con la classica risata da schizzato; poi finalmente se ne va fra i più accompagnato dal sospirone di sollievo dei protagonisti buoni. Terrificante...
La spiegazione data alla presenza degli uomini grigi è che il movimento della crosta terrestre genera campi elettrici, i quali interferiscono con i segnali neuronali nel cervello, dando una sorta di attacchi di epilessia accompagnati da allucinazioni. Sì, allucinazioni identiche in ogni cavolo di essere umano, anche in quelli mai venuti in contatto con la comunità dei protagonisti? Identiche in tutti i minimi dettagli! Persino nei murales si possono riconoscere esattamente tutti gli stessi minuziosi particolari. La spiegazione? Eh, la memoria collettiva. Il mito, l'archetipo, tutto condiviso. Eddai! Ma cosa? Ma nemmeno una differenza, che so, nel colore dei capelli? Che boiata immonda!
Spesso si incontrano situazioni molto ripetitive, ma...aaah. La situazione ripetitiva per eccellenza qui sono gli incontri sessuali di quel barzottone del nostro maschio protagonista. Descritte sin nei minimi dettagli, dalle scopate con il milfone a quelle con l'altra tipa, tutte hanno lo stesso modo di fare sesso, almeno tre pagine di descrizione dei dettagli di come queste gli succhiano l'uccello e dei loro Aaahhh uuuhhh siiiii quando vengono. Sì, lui le fa sempre venire. E loro sono sempre disponibili a dargliela, in qualsiasi momento, persino quando Kate era stata appena pistata di botte da lui che, nel delirio, l'aveva scambiata per un uomo grigio. La povera ragazza, tutta tumefatta con ettolitri di sangue addosso, che fa? Scopiamo, Rick! Ma che cazz..?!? Ma cosa?! Ma chi lo farebbe mai, ma come minimo ti metto una camicia di forza e non la vedi per una settimana, deficiente! No, lei è lì, pronta, subito a ficcarsi in bocca il pisello del tipo. Anche il milfone, da poco violentata da un branco di screanzati, appena vede il nostro ragazzone magicamente subisce un attacco improvviso di  pruriti di fresca, non importa che non riesca fisicamente ad impegnarsi in un atto sessuale: ti hanno violentata e dopo una settimana libera e felice come una farfalla scopi come un animale, la tua mente proprio non pensava ad altro. 
Ho già accennato a quanto siano deprimenti le descrizioni dei rapporti sessuali. A parte le minuzie inutili ed inopportune, vi troviamo metafore raffinate quali "i nostri corpi erano scivolosi come sperma", ed espressioni originali come "Cristo, era bellissimo"; "Cielo, se era bello"; "Era bellissimo", a profusione, con continui indugi sui capezzoli induriti, come se le partner sessuali del nostro Rick non abbiano altro che due paia di enormi, turgidi, eretti capezzoli, e qualche dettaglio qua e là; ma sono i capezzoli quelli che contano, baby.
La modalità narrativa, nemmeno quella regge. I capitoli sono presentati come estratti di diario, in cui per lo più l'io narrante è Rick, ma in alcuni episodi si tratta di Kate. Non c'era bisogno di dare una spiegazione a questa cornice, ma, non pago delle situazioni da facepalm da lui create, l'autore ne dà una: nello scrivere, l'io narrante sta compilando un resoconto in prima persona dei fatti avvenuti in quei giorni per preservarne la memoria e consegnare tutto alle generazioni future. A dire il vero è Kate a scrivere il diario, mentre Rick dovrebbe narrare le cose senza un preciso motivo. Bè, ad ogni cambio di prospettiva, il narratore deve tassativamente iniziare con "Mi chiamo Kate Robinson / Rick Kennedy". Che bisogno c'è?! Soprattutto nel caso di Rick! E soprattutto nel caso in cui si capisce che Kate stia scrivendo praticamente senza soluzione di continuità con la situazione che lei stava descrivendo appena prima dell'intermezzo di Rick, presentando aggiornamenti agli eventi avvenuti pochi minuti prima. 
I trucchetti per creare suspense sono banalissimi, lascia le cose in sospeso dando anticipazioni sul fatto che le cose non sarebbero andate bene come i personaggi avevano appena pensato, e cose simili...
Il cannibalismo così violento che si manifesta solo dopo pochi mesi dall'insorgere della catastrofe in alcuni gruppi umani è poco verosimile, sociologicamente senza basi. Più interessante è la spiegazione data alle torture inflitte agli sconosciuti dalla gente del gruppo di Jesus, una sorta di abominevole rituale basato sul sangue, in grado di mantenere coesa e rilassata l'intera tribù, placando l'animo dei suoi uomini. Ma tanto Clark butta al secchio Jesus nel peggiore dei modi.
Piatto, desolatamente piatto, la sensazione che rimane è quella di aver visto un blockbuster americano che puzza di cagata lontano un chilometro, costruito proprio in quel classico modo in cui lo sono quelle americanate che, solo per sbaglio, può capitarti di vedere al cinema di mercoledì pomeriggio, quando il prezzo del biglietto è dimezzato, e uscendo hai la sensazione che comunque quei tre euro e cinquanta avresti potuto spenderli in mille maniere migliori, tutte tranne quella... il modo peggiore di poter investire tempo e denaro, per di più finanziando il più becero dei filoni di produzione cinematografica.
Meno male che io, almeno, non l'ho mai pagato.
Mai più!






sabato 13 ottobre 2012

Nota flash

Forse trovo Addio Babilonia su un sito di compravendita libri. Hanno anche La fortezza di Farnham e L'esercito delle 12 scimmie ma aspetterei. Il primo costa 2 o 3 euro, fattibile.
Il seme inquieto l'ho trovato in biblioteca Marconi Via Cardano 135. 
Morte dell'erba (ecco il titolo corretto) l'ho trovato in ebook. 
Nessuna tregua con i re non si trova, ma quello che ho letto di Poul Anderson non mi è piaciuto tanto da voler cercare questo libro in maniera così disperata. 
Metro non m'aregge. Non ora. il secondo ce l'ho in ebook, comunque. Il primo magari l'anno prossimo me lo cercherò in qualche biblioteca. 
Picnic sul ciglio della strada n.p. , si vedrà. 

Nuove sfide per il 2013: pirati, evviva! Sono riuscita a farmela approvare.
Sfida libri sul cibo
Sfida ebook (in background)
forse una sfida bibliografica, autore da decidere
Sfida space opera uomo vs alieni (circa 5 libri per iniziare, poi si vedrà)

Forse un'ultima da definire.