giovedì 3 dicembre 2009

N.P.

More about N.P. Difficile dare un giudizio, sulla Yoshimoto, che mi appaia esaustivo. Leggere tre dei libri della sua produzione significa quasi leggerne uno solo di racconti, o almeno lascia lo stesso sapore.
N.P. è quello che, fra i tre che annovero fra le mie letture, davvero mi ha delusa maggiormente. Non che l'avessi così caricato d'aspettative. Ma almeno, mi aspettavo un romanzo.
Mi sono trovata invece davanti a qualche flash, in cui bozzetti di protagonisti si muovono veloci di scena in scena, scambiandosi chiacchiere vuote e soprattutto inutili, visto che ognuno pare conoscere esattamente cosa l'altro bozzetto di personaggio ha da dirgli.
La Yoshimoto ha uno stile che si sforza di essere immediato, forse giovanile, alcuni lo paragonano allo stile di un manga; forse ho ritmi troppo lenti e non riesco a starle dietro. Può darsi che il difetto sia mio in questo senso. Però rilevo una curiosa contraddizione. Il primo aggettivo che mi è venuto in mente per descrivere personaggi, scrittura e dialoghi è stato "naif". Tuttavia ho come l'impressione che nell'andare avanti voglia tornare indetro. Che nella sua semplicità, ingenuità, come la vogliamo chiamare, si nasconda qualcosa di tremendamente arretrato e pauroso. Come un pozzo attorno al quale sono cresciuti fiorellini. Difficile rendere più razionalmente la metafora e l'impressione, forse leggendo altri suoi libri potrò esserne in grado.
Ma quella allo stile non è l'unica critica che ho in serbo per N.P. Adesso, i contenuti.
C'è troppa carne al fuoco in questo libro, in particolar modo tenendo conto il fatto che non arriva nemmeno alle duecento pagine (e neanche tutte piene). In una trama dalle maglie deboli, i personaggi stilizzati si trovano di fronte a temi quali morte, sovrannaturale, sucidio, famiglia, incesti, empatia, anch'essi sviluppati con un tratto talmente leggero da essere invisibile, un abbozzo talmente sommario da essere però informe.
Il tema morte/suicidio forse è quello con i contorni più definiti, con qualche particolare un po' orrifico (sarò suscettibile, ma quello dell'osso mi ha fatto rabbrividire; mi ha fatto pensare a The Ring visto qualche giorno prima, stessa angoscia); viene trattato però con una pesantezza che non riesco a definire. Inesorabile, che non ha nulla di lirico. Vero, mi si può obiettare che probabilmente la morte non abbia davvero nulla di lirico, ma come resistere, come non dipingere anch'essa, soprattutto lei, di colori migliori? come non scegliere almeno quelli?

Intanto "Confessioni Di Una Maschera" è a metà e si lascia leggere che è una bellezza. Ah, Mishima. Inarrivabile (comincio ad essere seccante. Però era un genio).

P.S.
Ah, un peccato poi l'occasione sprecata per rendere più interessante la struttura narrativa. A quanto pare il centesimo racconto del libro "nel libro" (di quello in cui si parla nel romanzo insomma) non è altro che il romanzo stesso, cosa che si capisce poco e malissimo. Sarebbe stato un artificio interessante se sfruttato a dovere e meglio.